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"Pithecusa", l'anima greca e vulcanica di Ischia. Dove si vendemmia sospesi nel vuoto, fra mille sapori

I vigneti sono arretrati per via del boom turistico sempre in crescita. Ma restano tracce antiche, da ritrovare nel calice e nel piatto. Guida alla delizia

Francesco Saverio Russodi Francesco Saverio Russo   
Una parola e una visione: Ischia (Public Domain Pictures)
Una parola e una visione: Ischia (Public Domain Pictures)

Ogni isola, agronomicamente parlando, potrebbe essere considerata un “continente”, ancor più in ambito vitivinicolo. La viticoltura isolana, infatti, rappresenta una ricchezza immane in termini ampelografici ma anche storici e culturali. Tra le tante “piccole” isole italiche, però, ce n'è una particolarmente legata alla coltivazione della vite e alla produzione di vino: Ischia.

La vocazione dell’Isola Verde (chiamata così non tanto per la vegetazione indubbiamente rigogliosa, bensì per il colore verde del tufo di cui è costituito il Monte Epomeo) alla viticoltura è nota sin dall’antichità, lo testimonia la coppa di Nestore, ritrovata nel comune di Lacco Ameno, sulla quale è incisa la frase Di Nestore… la coppa buona a bersi. Ma chi beva da questa coppa, subito quello sarà preso dal desiderio d’amore per Afrodite dalla bella corona che sembra inneggiare al consumo del buon vino ischitano.

Quando era Pithecusa

Nello specifico, la coltivazione della vite è, probabilmente, stata introdotta sull'allora colonia greca di Pithecusa proprio dai coloni greci che compresero subito che la fertilità di quelle terre di origine vulcanica e il clima mitigato dal mare facevano di quell'isola un contesto perfetto per la viticoltura. La storia delle vigne e del vino di Ischia continua ma è solo attorno al 1500 che l'isola diventa un polo fondamentale per il commercio del vino bianco sfuso, esportato via mare verso i più importanti mercati italiani e stranieri.

La vigna arretra nel boom turistico

Migliaia di carrati venivano caricati sui velieri da trasporto (vinacciere) che per secoli hanno solcato i mari, rappresentando l’unico veicolo commerciale dall’isola alla terraferma. Oggi, Ischia è sicuramente più votata al turismo che vede negli impianti termali, di cui l'isola è ricca, uno dei suoi punti di forza, oltre all'indiscussa bellezza del contesto naturale. Il vino è un fattore ancora importante per l'economia locale, ma non più come un tempo, tanto che dai ca. 2400 ettari vitati raggiunti attorno agli anni ’40, il vigneto ischitano è passato a meno di 1000 negli anni '90 e sceso fino ai circa 300. Condizione dovuta all’avvento del boom economico e turistico, che ha provocato speculazioni edilizie e una visione poco accorta della gestione del patrimonio naturale,  paesaggistico e vitivinicolo di Ischia.

Chi salva l'anima antica

Una ricchezza vinicola e ampelografica dilapidata a una velocità inaudita ma che, grazie a pochi virtuosi vignaioli e produttori, è stata in parte salvaguardata preservando la biodiversità dell'isola e l'integrità del contesto naturale, con un buon equilibrio fra la componente agricola antropizzata e quella più selvaggia in cui regnano boschi e vegetazione per lo più endemica. Indagando riguardo i varietali storicamente coltivati dai viticoltori dell'isola sentirete parlare di Agrilla (o Arilla), Biancolella, Catalanesca, Codacavallo, Coglionara, Fragola, Lentisco, Lugliese, Malvasia, Moscatella, Nocella, Pane, Sanfilippo, Sorbisgno, Zibibbo, Verdesca, Uvanta, Campotese, Montonico e altre che assumevano nomi differenti in base all’area di coltivazione, tanto erano connaturate alle singole parcelle e legate alle singole famiglie di vignaioli.

Profumi e assaggi nel calice

Oggi, le uve maggiormente coltivate sono molte meno e, nonostante la sporadica presenza di resilienti ceppi delle uve autoctone sopracitate, sono Biancolella e Forastera – fra le bianche – e Pèr’e Pallummo (Piedirosso) e Guarnaccia – tra le rosse – a rappresentare il fulcro della viticoltura ischitana. Vini capaci di coniugare la forte mineralità dei terreni vulcanici agli equilibri dati dal peculiare clima isolano declinato in base a esposizione e altitudine dei vigneti. Sull'isola non sono molte le cantine che si occupano di produrre e imbottigliare, ma i vignaioli storici sono molti, fedeli e gelosi del proprio piccolo fazzoletto di terra che mai venderanno ma dal quale saranno lieti di ricavare i grappoli che contribuiranno alla produzione di vini delle più importanti realtà locali.

Fare a mano, questo è il segreto

Questo lavoro di squadra fra produttori – che a loro volta conducono i propri vigneti – e viticoltori – che operano, spesso, con la supervisione dei produttori ai quali conferiscono le uve da anni e secondo le loro indicazioni – rappresenta la forza di una viticoltura che, altrimenti, sarebbe impossibile da gestire in quanto (oltre al frazionamento e alla distanza tra ogni parcella di vigneto), in un contesto del genere, la quasi totalità del lavoro in campo è fatto manualmente. Una viticoltura eroica a tutti gli effetti, per la difficoltà di gestione delle lavorazioni e per le pendenze di vigneti che partono da 200m  sul livello del mare e arrivano fino a oltre 600 metri, tanto che non è raro imbattersi in monorotaie, unico ausilio meccanico per il trasporto delle cassette in vendemmia.

Legati alle funi e sospesi nel vuoto

Vendemmie che impongono accorgimenti come quello di legarsi con delle funi per calarsi nei meandri di vigneti impervi, racchiusi tra rocce e scarpate, dove al solo trovare quei ripidi terrazzamenti quale folle abbia pensato di impiantare un vigneto lì?! Ma la risposta che ti daranno i vecchi saggi è sempre e solo una: “Lì l’uva viene meglio!”. Sono quegli stessi viticoltori che hanno hanno permesso alle nuove generazioni di produttori di vino ischitane di poter contare su una  tradizione radicata e una qualità delle uve eccelsa.

La cucina dell'isola più grande del Golfo

La più grande isola del Golfo di Napoli, però, è anche cucina tipica da abbinare ai pregevoli vini di territorio. Ecco quindi che potrete deliziare il vostro palato con dei primi piatti classici come gli Spaghetti con le vongole (rigorosamente senza pomodoro per i puristi!) o come una corroborante pasta e fagioli con le cozze (una via di mezzo fra una zuppa e una minestra, preparata con la cosìdetta pasta mischiata, che contempla vari formati).

Tra i secondi piatti spiccano il Coniglio all’Ischitana (preparato con il presidio Slow food coniglio da fossa di Ischia e la piperna, erba aromatica endemica dell'isola) e la tradizionale frittura di paranza locale. Per chi vorrà continuare a girare per l'isola mangiando qualcosa, Ischia è anche street food tipico: la Zingara, ad esempio, è un panino inventato negli anni '70 in un pub locale, composto da due ferre di pane “cafone”, farcite con prosciutto crudo, fior di latte, fette di pomodoro, insalata e maionese; siamo pur sempre in Campania, quindi non potrete andarvene senza aver mangiato una buona pizza immersi nella bellezza dell'isola.

Un dolce finale

Per concludere in dolcezza non mancheranno i tradizionali Babà, le sfogliatelle, la pastiera, le Graffe e le Bombe, nonché gli struffoli, le delizie al limone e la tipica torta Ischitana preparata con rum, mandorle e caffè. Per le vostre colazioni, inoltre, potrete godervi il “dolce” divenuto simbolo della pasticceria di Ischia, ovvero il cornetto di Calise, ideato dal celebre bar Calise, fatto con un impasto di pasta brioche e pasta sfoglia l’una sull'altra, che si fondono in cottura. Insomma, Ischia è la meta perfetta per una vacanza in cui godervi la natura, il mare, il relax termale, appagando il vostro palato grazie agli ottimi vini locali e alle eccellenze gastronomiche dell'Isola Verde.

Francesco Saverio Russodi Francesco Saverio Russo   
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