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Sulle tracce di Aleramo e degli "infernot" patrimonio dell'Unesco. Sapori e storie dal fascino secolare

Itinerari storici ed enogastronomici tra le eccellenze del Monferrato. Una terra che non ha fretta, che abbraccia il viaggiatore e gli schiude uno scrigno di cultura

Tiziano Gaiadi Tiziano Gaia   
Un suggestivo 'infernot'
Un suggestivo "infernot"

La leggenda narra che sia andata così. Sceso in terra d’Italia per sedare una rivolta, l’imperatore del Sacro Romano Impero Ottone I reclutò tra i propri scudieri un giovane soldato originario di Acqui Terme. Il suo nome era Aleramo. Audace e di bell’aspetto, il soldato si innamorò, ricambiato, di Adelasia, la figlia prediletta dell’imperatore, e insieme a lei fuggì in Liguria, temendo la disapprovazione di Ottone verso la loro unione. Dopo aver fondato Alaxia in onore della principessa (l’odierna Alassio) e aver difeso strenuamente le coste liguri dalle incursioni saracene, Aleramo fu non solo perdonato dall’imperatore, ma nominato marchese. I suoi possedimenti sarebbero stati vasti quanto il territorio che egli fosse riuscito a percorrere a cavallo in tre giorni e tre notti. Quella favolosa cavalcata, su e giù per i colli e per le valli tra Liguria e basso Piemonte, delimitò i confini (e sancì la nascita) del Monferrato. Correva l’anno 958 e si racconta anche che il nome della nuova marca sia derivato da un incidente di percorso di Aleramo, costretto a “ferrare” il cavallo con un mattone, “mun” nella lingua locale dell’epoca.

Un astro nascente del modo lento di viaggiare e gustare

Il mio primo incontro con il Monferrato – e con il suo zelante padre fondatore – risale alle scuole elementari. Come ogni diligente alunno della mia regione, ho dovuto anch’io imparare a memoria i versi iniziatici, e niente affatto agevoli, del Piemonte di Giosuè Carducci, interrogandomi su cosa e dove fosse «l’esultante di castella e vigne / suol d’Aleramo». Negli anni sono seguite esplorazioni, trasferte di lavoro e gite di piacere, e con esse la mappa di questi luoghi suggestivi e per molti aspetti unici ha preso forma e sostanza di incontri, scoperte, assaggi. Le “altre colline” piemontesi, così mi piace definirle rispetto alle confinanti Langhe, restano un mondo a parte, al riparo dalle frenesie dell’enoturismo imperante e dei visitatori internazionali (al netto del momentaneo stop generale, causa Covid-19, s’intende). Il Monferrato non è una superstar, per lo meno non ancora, ma è il possibile astro nascente di un certo modo di viaggiare e gustare “lento” che, nei mesi e forse anni a venire, sarà quanto di meglio vorremo per noi stessi in fatto di vacanze e week end.

Il castello di Gabiano tra il verde e le vigne

Alla scoperta del territorio

Il Monferrato è vasto. Il suo territorio occupa buona parte delle province di Alessandria e Asti. Una consolidata tradizione, che considera elementi geografici e storico-culturali, lo vuole divisibile in tre parti, un po’ come la Gallia di Giulio Cesare. Il Basso Monferrato ha il suo centro principale nell’elegante cittadina di Casale, capitale del Marchesato tra Quattro e Cinquecento. Qui il fiume Po segna un imponente confine tra il mondo delle colline, che si innalzano a scarpata dalla sua sponda destra, e quello della pianura, che si allarga con le sue risaie in direzione di Vercelli. Oltre al capoluogo, si segnalano i borghi di Gabiano e Camino, con i loro castelli scenografici posti a sentinella sulla piana, e, più all’interno, Rosignano, Moleto e Vignale Monferrato. A mano a mano che ci si addentra, l’orizzonte si fa ampio, dolcissimo, contraddistinto da pievi solitarie e monumentali chiese svettanti su grappoli di case appese ai fianchi delle colline. Le pendenze lievi e le ampie valli rendono la zona idonea alle colture cerealicole, che nei mesi estivi tingono il paesaggio di giallo e ocra.

Il grignolino "anarchico e testa balorda"

Ma questi restano pur sempre i colli del vino. Vitigno principe è il grignolino, da cui si ottiene un rosso speziato, fresco e dalla bevibilità trascinante. Gino Veronelli, in una memorabile descrizione dei primi anni Settanta, definì il Grignolino “anarchico e testa balorda”. In passato, questo e altri vini venivano conservati in appositi locali posti al di sotto delle abitazioni, scavati a colpi di piccone direttamente nel tufo. Si tratta degli infernot, oggi patrimonio mondiale dell’umanità all’interno dei Paesaggi Vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato. Da Vignale, sede di un dinamico club Unesco, si può partire per un tour alla scoperta di queste antiche tracce della civiltà contadina, la cui conclusione ideale è l’Ecomuseo della pietra da cantone di Cella Monte. Il circuito degli infernot è ben segnalato, il mezzo ideale per percorrerlo è la bicicletta.

Un dettaglio dell'ecomuseo di Cella Monte

Dove il Piemonte sfiora la Liguria

Procedendo progressivamente verso sud, l’ambiente diventa più selvatico e le pendenze aumentano. L’Alto Monferrato occupa la porzione meridionale della provincia di Alessandria, estendendosi fino a lambire i piedi dell’Appennino Ligure. Il suo centro principale è Acqui Terme. Gli amanti del vino hanno in Ovada, patria del Dolcetto, e in Gavi, terra dell’omonimo vino bianco prodotto da uve cortese, due mete irrinunciabili. I castelli di Tagliolo e Cremolino sono ottimamente conservati e offrono interessanti programmi di visita e di attività culturale. Il Monferrato Astigiano si identifica pressoché con l’intero territorio della provincia d’Asti. Il capoluogo ha una storia illustre e vanta preziose testimonianze artistiche e architettoniche sia civili, sia religiose. Volgendo però lo sguardo ai borghi e ai piccoli centri, un possibile itinerario prende le mosse da Moncalvo, la prima capitale del Marchesato (e tale fino al 1306). In autunno si tiene un’importante fiera dedicata al bue grasso, ma il paese è dinamico e ricco di iniziative durante tutto l’anno. Poche colline più in là, a Grazzano Badoglio, si è conclusa la cavalcata terrena di Aleramo, le cui spoglie riposano, secondo la tradizione, nella chiesa parrocchiale, già abbazia benedettina per oltre quattro secoli. Il comune, come si evince dal nome, ha dato i natali al famoso generale. Da non perdere, al culmine di una strada panoramica che da Grazzano passa per i centri di Casorzo e Grana, è il paese di Montemagno, che ha segnato il confine tra il Marchesato del Monferrato e i possedimenti di Asti per quasi tutto il Medioevo: ne è testimonianza il sontuoso castello, simbolo della zona.

La cultura dentro il barolo e il barbera

È questa la parte del Monferrato maggiormente «esultante di vigne», il cui cuore batte nei distretti, contigui ma ben distinti, di Nizza Monferrato e Canelli. Due varietà hanno segnato la storia, l’economia e il costume sociale di quest’area: il barbera, per quanto riguarda le colline intorno a Nizza, e il moscato, che ha in Canelli la sua capitale mondiale. Dal barbera (ma è in uso, e forse preferibile, la variante onomastica femminile: la barbera) si ottiene un vino ormai assurto a fama internazionale, dopo essere stato considerato per decenni il “vino quotidiano” per antonomasia. Grazie agli sforzi di alcuni pionieri, questo rosso riesce oggi a esprimere eleganza, forza e carattere. A Nizza, in particolare, si sta affermando un criterio di zonazione dei vigneti alla stregua dei “cru” del Barolo o della Borgogna, un passaggio fondamentale sulla via della consacrazione qualitativa e commerciale. Tra i nomi storici, con sede nella cittadina, c’è Bersano, la cui ampia cantina ospita un ricco Museo delle contadinerie e delle stampe da vino. Le colline del barbera rappresentano un altro sito targato Unesco.

Panorama dall'alto di Moncalvo, teatro della fiera del bue grasso

Sopra le colline senza tempo di Cesare Pavese

«Canelli è tutto il mondo – Canelli e la valle del Belbo – e sulle colline il tempo non passa», scriveva Cesare Pavese nel suo capolavoro, La luna e i falò, scritto nel 1950, pochi mesi prima della sua morte (era nato a Santo Stefano Belbo nel 1908, sarebbe morto il 27 agosto di 70 anni fa). C’è da credergli, di fronte all’operosità di un paese di poche migliaia di abitanti capace di scolpire intorno all’uva moscato e alla sua lavorazione un’immagine vincente a livello globale. Le radici del successo affondano nell’opera visionaria di alcuni capitani d’industria (enologica), che fin dall’Ottocento vollero e seppero investire sulla materia prima della zona, creando veri e propi imperi. Un nome su tutti è quello di Gancia. Il fondatore della ditta, Carlo, inventò lo “Champagne italiano” nel lontano 1865, dopo aver carpito i segreti produttivi dai francesi e averli adattati alla tipologia d’uva locale, il moscato bianco di Canelli, appunto. Da questo prodotto, all’epoca rivoluzionario per gli standard vitivinicoli italiani, sarebbe poi disceso il celebre Asti Spumante. Canelli è, a tutti gli effetti, la piccola Reims nostrana. Anche il modello architettonico delle cantine, scavate in profondità nel sottosuolo cittadino, a volte per chilometri, ricorda la capitale dello Champagne. Quattro di queste sono regolarmente visitabili: oltre alla citata Gancia, Contratto, Coppo e Bosca. Insieme, formano il circuito delle “cattedrali sotterranee”, che, unitamente alle spettacolari colline circostanti, costituiscono il terzo tassello monferrino dei Paesaggi Unesco, a testimonianza dell’eccezionale valore universale raggiunto dalla cultura vitivinicola.

Molto altro ci sarebbe da scrivere e consigliare sul Monferrato. Ma il fascino di un viaggio sta nelle sorprese. Il mio suggerimento, dunque, è semplice: andateci! Entrate in sintonia con un angolo d’Italia autentico, riposante, sorprendente. Nel silenzio immobile delle giornate lunghe d’estate, nella pace delle notti fresche d’autunno, sentirete ancora lo scalpiccio di zoccoli del destriero di Aleramo. E se ne troverete uno perduto a terra, sapete ora come ferrarlo, per una nuova corsa oltre l’ultimo crinale.

TIZIANO GAIA è nato a Torino nel 1975 e ha vissuto a Castellinaldo (Cuneo), il paese di cui è originaria la famiglia. A lungo responsabile delle pubblicazioni enologiche del movimento Slow Food, è direttore del comitato scientifico del WiMu, il Museo del Vino a Barolo, e collabora con la rivista internazionale «Decanter». È autore e regista di documentari, tra cui Barolo Boys. Storia di una rivoluzione e Itaca nel Sole. Cercando Gian Piero Motti. Il suo ultimo libro è Stappato. Un astemio alla corte di Re Carlo (2019, Baldini+Castoldi).

Per approfondire:

Docufilm Vite! sui Paesaggi Vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato

Ecomuseo della Pietra da Cantone (infernot)

Bersano – Museo delle contadinerie

Il Nizza (vino)

Gancia e le cattedrali sotterranee di Canelli

Tiziano Gaiadi Tiziano Gaia   
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