Lampredotto, il perfetto street food inventato a Firenze secoli prima del kebab. La storia
La culla del Rinascimento italiano nasconde un tesoro del gusto che può vantare secoli di tradizione. Scopriamo insieme perché è diventato un mito

Nel pieno centro di Firenze, tra architetture di epoca rinascimentale ed opere immortali, si perpetua da secoli la tradizione di una squisita specialità: il lampredotto. Ben prima che fosse coniato il termine street food, generazioni di fiorentini erano già soliti mangiare questo cibo da strada, che consiste in un panino farcito con interiora di bovino. Una preparazione povera, ma non per questo poco gustosa, che, recentemente, soprattutto grazie ai social networks, sta acquisendo folte schiere di estimatori.
Le origini del lampredotto
La squisita specialità è erede di un passato ricco di arte ed magnificenza, ma anche di grande povertà: espressione gastronomica di una società in cui, se il ceto più abbiente poteva permettersi banchetti fastosi, impreziositi da prelibatezze di ogni tipo, quello più povero doveva arrangiarsi con gli scarti. Fu proprio questa necessità a portare allo sviluppo della lavorazione delle interiora bovine, tra le quali il cosiddetto abomaso: il principale ingrediente del lampredotto. Numerose testimonianze attestano la vendita di quest’ultimo presso i mercati fiorentini già nel medioevo, epoca in cui, come già detto, erano soprattutto gli strati più umili della popolazione a mangiarlo. Una curiosità: sembrerebbe, anche se non esistono certezze in merito, che il nome lampredotto fu coniato proprio in quel periodo, quando la pietanza divenne il sostituto economico della lampreda, un pesce che, allora, era presente anche nell’Arno e non mancava mai dalla tavola dei nobili.

I trippai: gli artisti del lampredotto
Da centinaia di anni la preparazione del lampredotto rientra da tra i compiti dei trippai: considerata la sua relativa semplicità, è la mano di questi antichi artigiani del gusto, guidata da sensibilità ed esperienza, a fare da sempre la differenza. Correva il Quattrocento quando venne fondata la loro corporazione. Al tempo andavano in giro per la città spingendo dei semplici carretti di legno. Non di rado il mestiere veniva trasmesso da padre in figlio: ciò diede vita ad una tradizione che perdura ancora oggi, anche se i carri sono stati sostituiti da piccole strutture, i cosiddetti banchini.
La preparazione del lampredotto
A questo punto sarà opportuno capire come nasce il lampredotto: ce lo spiega Orazio, titolare (di quarta generazione) del Trippaio Del Porcellino, in attività fin dal 1893 e situato in pieno centro cittadino. Si comincia con la cottura della carne in un brodo vegetale a base di sedano, carote e cipolla. A parte viene preparato un soffritto al quale, una volta dorato, sono aggiunti progressivamente vino rosso, bietola (per la variante “in zimino”), il lampredotto bollito ed infine del pomodoro. Quando il composto è finalmente cotto, lo si serve all’interno del tipico panino morbido di forma tonda, il semelle. Non di rado capita che il tutto sia ulteriormente insaporito grazie all’aggiunta della tradizionale salsa verde toscana, realizzata con abbondante prezzemolo, mollica di pane raffermo, uova, aglio, acciughe, aceto (e/o limone), olio di oliva, sale e pepe.

Il successo del Lampredotto
Come spiegato dallo stesso signor Orazio in un’intervista, per lunghi anni il lampredotto e chi lo prepara sono stati tenuti in ben poco conto (“quando ho cominciato, se si voleva offendere qualcuno gli si diceva fai il trippaio”). Attualmente il passaparola generatosi in rete ha fatto si “che tutti lo conoscano e vogliano provarlo”, rendendolo di fatto un simbolo della gastronomia locale.
Al di là del marketing, occorre sottolineare che il valore del lampredotto risiede nella particolarità del suo gusto e nella sua importanza da un punto di vista storico e culturale: mangiandolo si è effettivamente in grado di assaggiare un “pezzo di Firenze”, facendo un tuffo nel glorioso passato di questa città.