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Erano la "razione K" dei legionari romani, sono ancora una delizia: storia delle olive ascolane

Specialità da aperitivo, in realtà questa preparazione risale alla cultura fenicia e greca e poi all'uso alimentare romano. Perché siamo ancora tutti pazzi per le olive ripiene

Antonio Maria Guerra di Antonio Maria Guerra   
Olive Ascolane, il gusto è già solo nello sguardo (Foto su licenza Creative Commons)
Olive Ascolane, il gusto è già solo nello sguardo (Foto su licenza Creative Commons)

Volendo stilare un’ideale classifica delle specialità più adatte ad accompagnare un aperitivo, le olive ascolane occuperebbero senza dubbio uno dei primi posti. Il loro legame con la città di Ascoli ed il suo territorio affonda le radici nella notte dei tempi. A tal proposito va ricordato che furono gli antichi Greci ed i Fenici ad introdurre la coltivazione dell’olivo nella penisola italica: la pianta vi trovò un habitat ideale, assumendo in ogni regione particolari, preziose caratteristiche. Tra le zone maggiormente vocate, quella del Piceno.

Un cibo già apprezzato dagli antichi romani

Una vocazione che era ben nota ai romani d’epoca classica. Del resto, sono innumerevoli le testimonianze del loro apprezzamento per le olive, soprattutto quelle in salamoia, che chiamavano colymbades, dal grecoκολυμβάω’, traducibile in nuotare, con chiaro riferimento al metodo di conservazione. Un alimento gustoso, di facile trasporto, talmente pratico da essere inserito nella Razione K dei legionari. Riferimenti alle olive Picenae si possono trovare nelle opere di numerosi letterati latini, tra i quali è opportuno citare Columella (De re rustica, compendio agricolo di ben 12 volumi) e Petronio che, nel suo Satyricon, le include tra le vivande offerte da Trimalcione agli ospiti dei suoi spettacolari banchetti.

Un cartoccio di ascolane: aperitivo, spuntino, street food perfetto (Foto A. M. G.)

Le olive dei monaci

Rimandi più ‘recenti’ sono presenti negli archivi dei monaci benedettini dell’ascolano e risalgono al XVI secolo circa. I documenti, ancora oggi conservati, riportano con dovizia di particolari le tecniche di coltivazione dell’olivo, la modalità di raccolta dei suoi frutti e i trattamenti cui questi ultimi venivano sottoposti: è interessante ricordarne uno in particolare, che prevedeva l’estrazione del nocciolo, per cui l’oliva era soprannominata giudea, ovvero ‘senz’anima’.

La nascita delle olive ripiene

Per assistere alla nascita delle olive ascolane ripiene, così come ancora oggi le conosciamo, fu necessario attendere diversi secoli: un lungo periodo in cui la fama di quelle in salamoia non venne mai meno. Le origini della specialità vanno collocate in un momento non ben precisato dell’ ‘800. Sappiamo per certo che la sua invenzione fu legata all’esigenza dei cuochi delle famiglie nobili di utilizzare la carne in eccedenza prima che andasse a male, motivo per cui decisero di impiegarla come imbottitura per le olive locali.

Il manicaretto ebbe un successo pressocchè immediato anche se, a causa del costo e della difficoltà della preparazione, inizialmente fu accessibile solo al ceto più abbiente, che lo offriva ai propri ospiti nelle grandi occasioni. Si dice che tra i suoi maggiori estimatori ci furono i grandi compositori Gioacchino Rossini (noto buongustaio), Giacomo Puccini e perfino il generale Giuseppe Garibaldi.

La preparazione

Torniamo alla preparazione: si è appena detto che è difficoltosa. Il motivo è facile da spiegare: farcire un’oliva come l’ Ascolana Tenera che oltre ad essere fragile ha dimensioni ridotte, è un’operazione che richiede grande perizia e manualità. Non a caso l’abilità nell’incidere il frutto è motivo di vanto per le massaie ascolane: con un coltellino praticano un taglio a spirale, cercando di includere quanta più polpa possibile. Il risultato finale è una striscia elicoidale che viene avvolta intorno al ripieno. Seguono un passaggio nella farina, quindi nell’uovo, nel pan grattato e la frittura in abbondante olio di oliva o di semi. Un procedimento complesso che richiede la cura di un vero e proprio artigiano: del resto il risultato è, a suo modo, una forma d’arte.

Per completezza occorre ricordare che la farcitura è composta in primis da carne magra di manzo, cui vengono aggiunte, in percentuale minore, quella di maiale ed infine quella di pollo e/o tacchino. Questo mix è cotto, insaporito con spezie (chiodi di garofano, noce moscata, pepe, etc.), sfumato col vino ed infine macinato.

Il fritto misto all’ascolana

Sebbene, come già accennato, al giorno d’oggi le olive ascolane servite in Italia e nel mondo vengano generalmente abbinate ad aperitivi, nella tradizione gastronomica marchigiana (ed in particolare ascolana) sono parte di un fritto misto servito come secondo piatto, che include (tra l’altro) verdure, costolette d’agnello e gli squisiti cremini (mini-porzioni di crema panata e fritta).

Ascoli Piceno, "terra" delle famose olive (Foto RaBoe su licenza CC)

Il riconoscimento europeo ed il Consorzio

Nel 2005 l’Unione Europea ha voluto riconoscere le caratteristiche uniche dell’oliva ascolana originale (sia quella ‘al naturale’ che quella farcita), assegnandole la Denominazione di Origine Protetta (DOP). Un provvedimento che, teoricamente, dovrebbe salvaguardarne la qualità. Nel 2018 le principali aziende produttrici hanno fondato il Consorzio Tutela e Valorizzazione.

Il festival

Per concludere, una curiosità: ogni anno, ad agosto, nel centro storico di Ascoli si tiene l’Ascoliva Festival: manifestazione che dà modo ai visitatori di apprezzare una delle più squisite leccornie italiane nella sua forma più autentica.

Antonio Maria Guerra di Antonio Maria Guerra   
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