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Wasabi, il fuoco verde dal Giappone. Ma quello che ti servono col sushi non è vero

La pasta di colore acceso che troviamo in bustina in ristorante o al centro commerciale col sushi è solo una pallida imitazione di una pianta dalla storia secolare e ricchissima di proprietà

Antonio Maria Guerra di Antonio Maria Guerra   
Sushi e Wasabi: sappiamo cos'è quella pasta verde nel piatto? (Foto Shutterstock)
Sushi e Wasabi: sappiamo cos'è quella pasta verde nel piatto? (Foto Shutterstock)

Molto probabilmente, se ci fosse chiesto di indicare una specialità gastronomica che richiami alla mente il Giappone, subito dopo il sushi, ci verrebbe in mente il wasabi. Non c’è da stupirsi: si tratta di uno dei portabandiera della tradizione culinaria nipponica. Ciò nonostante, per quanto possa sembrare strano, ben poca gente lo conosce a fondo e, udite udite, ancor meno ha avuto modo di mangiare l’originale. Facciamo dunque un pò di luce in merito. Con il nome ‘wasabi’, in giapponese ‘山葵’, in latino Eutrema Japonicum, si è soliti indicare sia la pasta di colore verde acceso, usata come condimento, sia la pianta appartenente alla famiglia delle Brassicaceae, con la quale questa pasta viene prodotta.

Retaggio di un lontano passato

Le più antiche testimonianze giunte fino a noi su questo particolare vegetale, risalgono al periodo Asuka (550 / 700 d.C. circa) e sono contenute in alcuni mokkan tavolette in legno di forma oblunga sulle quali al tempo veniva scritto un pò di tutto, dalle note commerciali ai promemoria, dalle lettere alle poesie. Altri interessanti riferimenti si possono trovare nell’‘Honzo Wayno’, dizionario botanico risalente al 918 d.C., e nell’ Engishiki celebre raccolta di leggi e usanze, la cui stesura fu completata intorno al 927 d.C..

Il valore delle sue doti

Tutte queste fonti sono concordi nel riconoscere alla pianta particolari doti medicinali, in grado di fornire all’organismo una protezione dai batteri, prevenendo l’avvelenamento da cibo. Caratteristiche decisamente utili, soprattutto in un periodo, come quello medioevale, privo di validi strumenti per la conservazione degli alimenti: tanto preziose che nell’ Engishiki viene specificato che il wasabi poteva essere utilizzato per pagare le tasse, al pari di una vera e propria valuta.

Le primissime coltivazioni

Per secoli il suo valore fu incrementato dall’estrema rarità: era infatti reperibile esclusivamente allo stato selvatico, in zone di montagna decisamente ‘fuori mano’. Sebbene non vi siano certezze in merito, molti studiosi ipotizzano che si iniziò a coltivarla solo intorno al 1600.

Lo shogun ama il wasabi

Tradizione vuole che Tokugawa Ieyasu, mitico fondatore dello shogunato Tokugawa, la amasse in modo particolare. Era convinto, tra l’altro, che le sue foglie ricordassero quelle della Malvarosa, rappresentate nello stemma di famiglia. Di conseguenza legiferò che l’unica zona in cui questo ‘tesoro’ poteva crescere fosse la regione di Shizuoka.

Il boom commerciale e l’impennata dei prezzi

Il consumo di wasabi si sviluppò progressivamente nel corso del tempo, più o meno di pari passo a quello del sushi, al quale spesso si accompagna. Negli anni ottanta del secolo scorso, entrambe le specialità furono protagoniste di un vero e proprio boom commerciale, essendo diventate di gran moda nel mondo occidentale. Il conseguente incremento della richiesta, che persiste inalterata ancora oggi, portò a una carenza di prodotto in circolazione e al suo conseguente incremento di prezzo.

Il wasabi è difficile da coltivare

Un tale valore non dovrebbe meravigliare, considerando che la modernizzazione non ha facilitato più di tanto la sua coltivazione che, ancora oggi come un tempo, risulta particolarmente impegnativa. Il rizoma (ovvero il fusto) del wasabi impiega fino a tre anni per raggiungere la completa maturazione. Premesso che le piante di qualità migliore rimangono quelle selvatiche che crescono lungo i ruscelli di montagna, in un ambiente fresco e umido, nel tempo si è cercato di emulare (con alterne fortune) queste condizioni, impiegando appezzamenti prossimi a corsi d’acqua che possedessero caratteristiche simili. Sotto quest’aspetto le zone vicine alle Alpi Giapponesi (Nihon Arupusu) si sono rivelate tra le più adatte. Va inoltre sottolineato che, almeno fino alla raccolta, tutti i vari passaggi sono effettuati rigorosamente a mano.

Varietà e piccantezza

Esistono diverse varietà, tra le più celebri ed apprezzate ricordiamo la Daruma che si distingue per una colorazione verde intenso e la Mazuma, più chiara e piccante: forse non tutti sanno che quest’ultima peculiarità le ha guadagnato un nomignolo namida, traducibile in lacrima chiaramente dovuto al suo effetto. A tal proposito occorre puntualizzare che tale effetto, differentemente dal peperoncino, incide più sul naso che sulla lingua. Un interessante rimando cinematografico: in una scena del film Wasabi (2001) di Luc Besson, è possibile farsi una grossa risata ammirando l’esilarante effetto che una porzione un pò troppo abbondante di questa specialità ha su un malcapitato protagonista.

La preparazione del wasabi

La pasta originale (Hon-Wasabi) è preparata tritando il rizoma: a questo scopo viene tradizionalmente utilizzato un oroshigane vale a dire un particolare tipo di grattugia dalla superficie in pelle di squalo che, grazie alla sua accentuata abrasività, produce una polpa particolarmente fine. Una volta grattuggiato, il wasabi va consumato dopo pochi minuti senza aspettar troppo. Quest’ultima caratteristica, abbinata al costo e alla rarità del prodotto, fa sì che venga raramente servito nei ristoranti occidentali, salvo, come è facile immaginare, i migliori.

Il wasabi originale e quello in tubetto

Al giorno d’oggi il prezzo della pianta può superare i 300,00 Euro al kilo. Ciò ha portato alla nascita di una pletora di surrogati (Seiyō-Wasabi o Western Wasabi), generalmente a base di rafano (opportunamente colorato), e senape. Succedanei che, a seconda del produttore e del paese di origine, presentano diverse caratteristiche organolettiche. Stiamo parlando del contenuto dei cosiddetti ‘tubetti’, largamente commercializzati in Europa e negli Stati Uniti, che cercano di emulare il gusto della specialità, senza peraltro riuscirci. Esiste anche una tipologia in polvere: il prezzo è sicuramente più abbordabile, ma una volta reidratata in acqua, il suo sapore spesso non è all’altezza.

Il wasabi in cucina e non solo

Come già accennato, il mondo occidentale ha conosciuto il wasabi in seguito al grande successo del sushi, ed è proprio insieme a quest’ultimo che viene normalmente consumato. In Giappone il suo impiego è molto più vario: ad esempio, viene spesso utilizzato per insaporire il pane, il formaggio, i salatini e molti altri cibi. Lo si accompagna al tempura ed alla carne alla griglia. Ci si prepara il vino, il liquore e persino il gelato.

Per concludere, si spera di aver istillato nel lettore non solo il desiderio di approfondire la conoscenza di una specialità che, per così dire, ‘trasuda Giappone da tutti i pori’, ma anche la consapevolezza di non averla mai effettivamente provata, spingendolo quindi ad assaggiarla quanto prima.

Antonio Maria Guerra di Antonio Maria Guerra   
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