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Bellone, il vitigno che sgomita alle porte di Roma per prendersi la sua giusta affermazione

Alla scoperta di un pezzo di cultura dell'Agro Pontino, e di un'uva che sembra nata apposta per diventare vino spumante. Ancora tutta da valorizzare

Vittorio Ferladi Vittorio Ferla   
Le vigne del Bellone
Le vigne del Bellone

A pochi chilometri dalla Capitale, c’è un' uva che sembra nata per diventare vino spumante. Il Bellone è tra le uve più rappresentative dell’area tra Roma e Latina: un’area ampia e complessa sia da un punto di vista del territorio, del clima e dell’interesse storico culturale. Un’area ancora misconosciuta, tuttavia: da un lato, a causa della sua eccessiva vicinanza alla Capitale; dall’altro lato, per una notorietà vitivinicola abbastanza recente.

Il wine resort di "Cincinnato"

L’area vitivinicola tra l’Appia e i monti Lepini

Quello dell’Agro Pontino, infatti, è un terreno paludoso - bonificato solo agli inizi del ‘900 - costituito da antichi sedimenti marini, alluvionali ed eolici. La grande pianura sale dall’ampia costa verso i rilievi dei monti Lepini e dei monti Ausoni, composti da rocce sedimentarie calcaree, con sedimenti periferici di origine vulcanica e terre rosse. Questa conformazione fisica rende il territorio intermedio molto vocato per la viticoltura. Aiuta molto il clima, caratterizzato dalle correnti cariche di umidità che provengono dal mar Tirreno e che risalgono fino a scontrarsi con quelle montane dei rilievi Lepini. Proprio questa è la zona - segnata dal confine della via Appia antica - della doc Cori, che prende il nome dalla cittadina collinare dalla quale si domina la piana. Un fazzoletto di terra che annovera, tra l’altro: gli splendidi giardini di Ninfa, un complesso naturalistico-architettonico di straordinaria attrattiva turistico-culturale; la cittadina di Norma, borgo medievale sul ciglio di un alto costone che offre una vista meravigliosa della pianura pontina fino al Circeo; e il centro di Sermoneta, un vero e proprio gioiello architettonico medievale che ospita il castello Caetani.

Il Bellone, o "uva pane"

Dentro il fascino del territorio

Cori è prima di tutto un centro interessante sul piano storico e artistico: superato il ponte romano della Catena, proprio all’ingresso dell’abitato, si possono visitare la Chiesa dell’Annunziata, con affreschi della scuola di Masolino da Panicale, e la Collegiata, che ospita uno splendido candelabro pasquale. Per la pittoresca via del Porticato si sale poi verso la Chiesa di S. Oliva, dotata di un interessante chiostro; nei pressi ci sono i resti del tempio di Castore e Polluce; infine, al vertice del colle svetta il tempio di Ercole (pronao, otto colonne doriche, trabeazione e frontone).

Poco fuori della città di Cori, la cantina sociale Cincinnato, attiva da più di 70 anni nel territorio, può contare su 550 ettari di vigne e sul contributo di un centinaio di famiglie che ogni anno conferiscono le loro uve. Rappresenta un punto di riferimento per tutta l’area nonché la dimostrazione che le cantine sociali, se ben condotte, possono esprimere dei prodotti capaci di conciliare dei prezzi accessibili con una qualità elevata.

Uve di territorio

Ma il principale merito dell’azienda consiste certamente nella valorizzazione dei vitigni autoctoni laziali: nella fattispecie, il Bellone, a bacca bianca, e il Nero Buono, a bacca nera. Aspetto tutt’altro che secondario, se si pensa alla grande carenza di identità territoriale del Lazio, ancora molto indietro oggi rispetto a regioni che hanno saputo costruire, nel corso di decenni, una personalità ben definita, grazie al fortissimo legame con il loro vitigno di riferimento. Gli esempi sono innumerevoli: la Toscana con il Sangiovese, l’Abruzzo con il Montepulciano, il Piemonte con il Nebbiolo e la Barbera, la Campania con l’Aglianico, le Marche con il Verdicchio, l’Umbria con il Grechetto e il Sagrantino. L’elenco potrebbe continuare.

Ecco perché merita un apprezzamento speciale l’impegno di Cincinnato nella vinificazione del Bellone - detto anche ‘uva pantastica’ da Plinio il Vecchio, ‘uva pane’ o Cacchione - vitigno prolifico, capace di offrire uve con una buona espressione varietale e, soprattutto, con una spiccata acidità. Proprio quest’ultima caratteristica fa sì che il Bellone sia molto vocato per la realizzazione di vini spumanti. Una strada intrapresa ormai da diversi anni con discreti risultati.

Gli spumanti da Bellone

Proprio questa estate, nel corso di un evento organizzato da Cincinnato nello splendido resort a pochi chilometri dalla cittadina di Cori, ho avuto l’occasione di riassaggiare lo Charmat, un vino immediato e piacevole, capace di esprimere la sua impronta varietale, e, soprattutto, il Metodo Classico Brut Korì, che sosta circa 36 mesi sui lieviti, uno spumante importante, ben costruito, adatto anche a grandi occasioni. Quest’ultimo in due versioni: 2016 e 2015. Il primo (sboccatura 2018) dai toni briosi, dai profumi di frutta bianca, pasta frolla e crema di limone, con una sferzata di freschezza al palato e un finale citrico di pompelmo rosa. Il 2015, più discreto nell’approccio olfattivo, molto fine e forse maggiormente compiuto ed espressivo, con una nota balsamica, al palato è più avvolgente, morbido, resinoso e si conclude di nuovo con i richiami di pompelmo.

La novità della casa, a partire da quest’anno, è però il Pas dosé. La vendemmia di riferimento è quella del 2016. “Una buona annata, con buona escursione termica, un agosto regolare con piogge nella norma”, come la descrive Nazzareno Milita, il presidente della cooperativa. “Una annata eccezionale che ci ha dato molta più uva per il metodo classico”. Sboccato nell’aprile 2020, il Pas dosé è realizzato con uve di alta qualità e perfettamente integre. Offre al naso dei profumi di biscotto, con sfumature di erbe officinali e resinose, note varietali e di pasticceria, con ritorni agrumati che ricordano il pompelmo e un finale di mandorla. Struttura e complessità importanti, sorso appagante e bolle cremose. Questo intrigante Pas dosè dimostra che, grazie alla selezione di ottime uve e all’affinamento sui lieviti per 24 mesi, un vitigno tradizionalmente ritenuto rustico può raggiungere, viceversa, una imprevista eleganza. La potenzialità di produzione è molto alta: l’azienda è in grado di produrre infatti 10 mila quintali di Bellone. Un’ottima notizia per gli appassionati.

I bianchi fermi

All’assaggio estivo non può mancare, ovviamente, il classico Castore. Vino fermo di base, anno 2019, naso di fiori e frutta bianca, al palato è immediato, fresco, vivace. Un vino quotidiano, minerale, piacevole, di facile abbinamento, che conserva il suo carattere rustico con la nota amara finale. Una personalità diversa manifesta, ovviamente, l’Enyo 2018. Prodotto con le uve selezionate dei migliori vigneti, anche un po’ surmature, leggera macerazione sulle bucce e permanenza sui lieviti, poi malolattica e un anno di affinamento in acciaio. Il colore è giallo dorato, profumi di fiori di campo, di mentuccia e di resina oltre che di frutta secca, con sfumature agrumate, sorso morbido con fondo sapido, il finale è asciutto con buona persistenza. Un bianco ricco di carattere e di complessità.

Il futuro del Bellone è frizzante

Dopo anni di tentativi di affinamento in legno, Nazzareno Milita si è convinto che il Bellone “si esprime meglio senza legno”. Mi pare un insegnamento corretto di cui fare tesoro. Allo stesso modo - visti gli apprezzabili risultati del raggiunti dal metodo classico, sia nella versione brut che in quella a dosaggio zero - bisogna incoraggiare la strada della spumantizzazione, non a caso perseguita anche da altre cantine della zona. Il Bellone potrebbe trovare nello spumante una grande opportunità di affermazione: d’altra parte, nel Lazio, è certamente il vitigno più adatto per realizzare ottime bollicine. Di più, direi: se il movimento vitivinicolo del Lazio decidesse di inventarsi un “distretto dello spumante” tipicamente territoriale dovrebbe certamente investire sul Bellone.

 

Vittorio Ferla, giornalista, co-fondatore di GnamGlam, associazione e magazine sull'agroalimentare, da cui nasce il progetto WineGlam, completamente dedicato al mondo del vino. Scrive (anche) di enogastronomia per Il Riformista, Linkiesta, Vinoway e altri periodici di settore. Assaggiatore esperto e sommelier, giudice in alcuni concorsi enologici, organizza eventi e seminari per la promozione della cultura del cibo e del vino.

 

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