Il Consorzio Valpolicella compie 100 anni e rilancia il mercato internazionale della sua star: l'Amarone
Numeri da record a Verona per l'evento che celebra il re dei rossi veneti che riparte con due ambizioni: ampliare il mercato estero ed evitare doppioni
Amarone Opera Prima 2025, l’edizione del centenario del Consorzio Vini Valpolicella svolta a Verona l’1 e il 2 febbraio scorsi, ha registrato numeri da record: 78 aziende della denominazione ai banchi di degustazione per presentare alla stampa l’annata 2020 del re dei rossi veneti, oltre 400 operatori del settore, 1500 winelover e 106 giornalisti da 26 Paesi. “Il successo di questa edizione, la più partecipata di sempre, conferma la centralità della Valpolicella nel panorama vitivinicolo internazionale e, al contempo il ruolo del consorzio costantemente impegnato nella gestione, promozione e tutela dei vini del territorio”, spiega Christian Marchesini, presidente del Consorzio Vini Valpolicella.
Valore delle terre a vite cresciuto di oltre il 100 per cento
“In uno scenario complesso e ricco di sfide come quello attuale - aggiunge - la crescita delle aziende nel Consorzio e all’evento è un segnale di un nuovo capitolo per la Valpolicella che guarda coesa al futuro”. Infine, a dimostrazione di una denominazione in buona salute, Marchesini ricorda che “nell’ultimo quarto di secolo il solo valore fondiario dei terreni vitati è cresciuto del 133% a fronte un’estensione dei vigneti del 65%. Se all’asset vigna aggiungiamo quello della cantina, il valore attuale della nostra denominazione arriva a circa 6 miliardi di euro”.
Come evitare sovrapposizioni
L’evento di Verona rimette inoltre al centro una sfida cruciale: segmentazione vs sovrapposizione. Vista la molteplicità di tipologie di vini sotto la comune denominazione (in ordine progressivo: Valpolicella base, Valpolicella Superiore, Ripasso, Amarone, Amarone Riserva e Recioto) il rischio di sovrapposizione, in un mercato in continuo cambiamento, è ormai diventato altissimo. Capita a volte di assaggiare dei Valpolicella superiore realizzati con uve appassite e affinati in barrique che, per struttura, potenza e zuccheri residui, assomigliano troppo agli Amarone (è il fenomeno dei cosiddetti “baby-Amarone”). In alcuni casi ci sono aziende che producono dei Ripasso più leggeri rispetto al Valpolicella superiore. Del resto, bisogna ammettere che lo stesso Ripasso - un vino di metodo basato sulla tecnica dal ‘ri-passo’ del vino Valpolicella sulle vinacce dell'Amarone, ancora calde e ricche di zuccheri - nasce in qualche modo come espediente per offrire ai consumatori un vino che assomiglia all’Amarone, semmai lievemente più fresco, ma ad un costo più accessibile. Inoltre, per venire incontro ai nuovi gusti dei consumatori, alcune cantine cominciano a proporre degli Amarone sempre più leggeri (con minore grado alcolico e minore residuo zuccherino) mentre altre sembrano inossidabilmente ancorate ad approcci superati dall’evoluzione del mercato.
Verso nuove vette
Da qualche anno, pertanto, il consorzio è impegnato nel tentativo di fare ordine in questa sovrapposizione di proposte. La qualità media dei vini della denominazione non è discutibile, ma serve maggiore chiarezza. Ecco perché il consorzio ha investito prima di tutto sulla valorizzazione e ridefinizione del suo campione: l’Amarone. In primo luogo, avviando le pratiche per il riconoscimento dell’appassimento delle uve come bene Unesco in quanto elemento fondativo del terroir: una scelta intelligente che aiuta a chiarire che l’Amarone non è soltanto un vino di metodo, ma effettiva espressione del territorio. Poi, con la classificazione dell’Amarone come vino di pregio e da lungo invecchiamento, capace così di collocarsi nella fascia più alta del mercato. Infine, con l’associazione dell’Amarone alla ristorazione internazionale più raffinata e creativa. Tutti elementi che potrebbero aiutare meglio a distinguere l’Amarone dal Ripasso e a creare una corretta gerarchia tra i vini della Valpolicella.
La scommessa sul "fresco"
L’altra iniziativa del consorzio di questi anni riguarda la valorizzazione della tipologia Valpolicella superiore come vino da uve fresche (ovvero senza appassimento), vinificato e affinato con trattamenti più leggeri, capaci di esaltare meglio le caratteristiche delle uve e il legame con il territorio e con l’annata. Una visione moderna e valida che merita di essere sostenuta e promossa. Anche perché può aiutare a segmentare meglio i diversi target di consumatori. “I tre vini della Valpolicella riflettono i differenti gusti lungo tutto l’arco di una vita, e questo è probabilmente un unicum tra le denominazioni italiane. L’Amarone (ma anche il Recioto) per i consumatori maturi, il Ripasso per i millennials, il Valpolicella, un vino contemporaneo, per i giovani”, assicura il presidente del consorzio Marchesini.
L'ampliamento del mercato
Secondo l’Osservatorio Uiv (Unione italiana vini), nel 2024 l’Amarone chiude a -2% sull’anno precedente ma con un recupero del 9% nel secondo semestre. Un rimbalzo significativo, se si considerano le difficoltà di quasi tutte le principali denominazioni rossiste del pianeta, ma ancora troppo risicato per uscire dalle difficoltà di questa fase. L’analisi del’Uiv, in perfetta linea con il progetto del consorzio, ritorna sul fatto che il futuro della denominazione – e del suo vino di punta – deve concentrarsi su una maggior segmentazione. In pratica, si tratta di preparare tre ‘valigie’ per altrettante destinazioni di mercato diverse, individuando target, posizionamenti e toni differenti con cui dialogare. Nello specifico, l’Amarone non dovrà snaturare se stesso ma avere ben chiari i propri obiettivi di posizionamento di vino icona, presso un pubblico principalmente composto da consumatori in età matura e un reddito saldamente superiore ai 100 mila dollari (negli Usa i baby-boomers sono il 40% dei wine drinkers, con gli alto-spendenti che salgono al 53%).
Le "rotte" del Valpolicella
Un identikit che dalla storica roccaforte nordeuropea (cui è riservato il 50% del mercato estero) deve crescere negli Stati Uniti, dove prevale nella East Coast (da NY alla Florida), ma che vale anche in Giappone o in Cina, dove già l’Amarone vanta una quota molto alta sul totale del proprio export (10%). Un target, infine, più di altri incline ad ascoltare il racconto che sta dietro alla produzione dei vini simbolo e più propenso a viaggiare e a conoscere un territorio di produzione il cui prezioso alleato dovrà essere Verona e il suo brand universale.
“In sintesi - secondo il responsabile dell’Osservatorio Uiv, Carlo Flamini - l’Amarone dovrà proporre al mondo un proprio ‘cocktail’, fatto di aree produttive e diverse vallate, del brand Verona, di stile e coerenza per un metodo atto a divenire esso stesso espressione di territorio”. L’ultima considerazione riguarda proprio le vallate. Finora, nella percezione generale la Valpolicella è stata distinta in due macroaree: la Valpolicella classica, a ovest di Verona, che comprende i comuni di Fumane, Marano di Valpolicella, Negrar, San Pietro in Cariano e Sant'Ambrogio di Valpolicella, e la Valpolicella Orientale, che raccoglie genericamente tutto il resto. In più ci sarebbe la Valpantena, mai rivendicata a livello di denominazione. In realtà, esistono differenze marcate tra le valli che varrebbe la pena evidenziare e che potrebbe costituire un valore aggiunto per tutta la denominazione. In questa direzione si stanno muovendo alcune cantine della Val di Mezzane che, ispirate dall’iniziativa di Marinella Camerani, vignaiola titolare di Corte Sant’Alda, si sono associate per promuovere in modo unitario la loro valle con tutte le sue peculiarità. Un percorso molto promettente che merita attenzione e sostegno.



di Vittorio Ferla















