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"Gli uomini fanno il vino, noi lo vendiamo ovunque": l'enoturismo è donna e sta esplodendo

Lo studio di Nomisma e la ricerca Enoturismo 4.0 sono il ritratto di protagoniste fondamentali per i risultati finali, ma ancora troppo poco considerate

Vittorio Ferladi Vittorio Ferla   
I relatori di 'Enoturismo 4.0' (Foto V.F.)
I relatori di "Enoturismo 4.0" (Foto V.F.)

Le cantine italiane si aprono sempre più all’enoturismo e le protagoniste principali di questo fenomeno sono le donne. La stretta correlazione emerge dal volume Enoturismo 4.0, realizzato da Dario Stefàno e Donatella Cinelli Colombini in collaborazione con alcune associazioni del settore (Città del vino, Donne del vino, Movimento turismo del vino) che raccoglie anche lo studio di Nomisma Wine Monitor presentato a Roma il 6 marzo al Senato. “Le donne che lavorano nelle cantine italiane sono sempre più vicine alla parità di genere, in termini di salari e carriera, rispetto a quelle di altri comparti economici”, afferma con certezza Donatella Cinelli Colombini, autrice e produttrice vitivinicola, che, nel corso della presentazione nella sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, spiega: “Gli uomini restano più forti in vigna e in cantina (le donne sono solo il 15%), ma le donne presidiano i settori nuovi del vino: il commerciale (51%), marketing e comunicazione (80%), infine l’ospitalità e l’enoturismo (76%). Potremmo concludere che gli uomini producono il vino e le donne lo vendono”.

Nessuno "accoglie" come le donne

In sostanza dunque, assodato ormai che a livello mondiale la maggior parte del vino viene comprato dalle donne, la novità è che le donne sono protagoniste assolute proprio nel turismo del vino. Il capitolo a loro dedicato nel volume Enoturismo 4.0 descrive nel dettaglio i profili femminili di chi opera nei comparti produttivo o commerciale e di chi consuma vino. Anche fra i turisti del vino e, soprattutto, fra chi prenota online la visita in cantina (66%) le donne sono la maggioranza. Un cambiamento di costume in corso in tutto il mondo, non solo in Italia. All’interno di aziende di produzione di norma molto piccole (il 48% non supera i 500 mila euro di fatturato annuo, con una quindicina di dipendenti di cui 3 coinvolti nella wine hospitality), il servizio di accoglienza è affidato nel 73% dei casi a una donna. “L’enoturismo è una filiera a trazione femminile: le donne, brave a raccontare, sono le figure leader nell’hospitality”, conferma Dario Stefàno, ex senatore padre della normativa sull’enoturismo e co-autore del volume.

Tutto ciò che manca

In generale, le cantine turistiche italiane sono molto cresciute in questi anni raccogliendo l’orientamento enogastronomico di un numero sempre maggiore di turisti. Ovviamente non mancano problemi. Cinelli Colombini ne cita tre: “Serve più tecnologia per le prenotazioni, per il follow up e per la costruzione dei wine club" che legano il turista alla cantina creando un canale privilegiato per la vendita. “Servono più aperture festive”, perché, come spiega la ricerca contenuta nel volume, ancora troppe cantine sono aperte al pubblico con “orario impiegatizio”: basti pensare che la domenica e nei festivi, metà delle cantine sono chiuse. Infine, “serve maggiore diversificazione nell’offerta”. La ripetitività delle proposte, infatti, è la costante: nel 96% dei casi l’esperienza si esaurisce nella visita guidata ai locali di produzione con piccola degustazione finale.

 

Non mancano poi problemi di contesto che solo l’intervento delle istituzioni può aiutare a risolvere. Angelo Radica, sindaco di Tollo e presidente dell’Associazione Città del Vino indica alcuni interventi necessari: “Alcune cantine non sono raggiungibili: servirebbe un Piano Marshall per la sistemazione e la manutenzione delle strade. Nelle aree interne spesso scompare il segnale: pertanto le infrastrutture telematiche sono indispensabili. Spesso il personale non è pronto per accogliere i clienti: il ruolo della formazione è indispensabile”. Bisognerebbe poi migliorare l’offerta turistica complessiva di diversi territori perché, come si legge nella ricerca, il 32% delle cantine non è nella direttrice di flussi turistici o enoturistici per cui non può intercettare visitatori che passano nelle vicinanze. Secondo Radica, “serve poi aumentare i trasporti pubblici locali perché spesso è impossibile visitare una cantina se non si è muniti di mezzi autonomi”. Poi conclude, “visto che le strade del vino funzionano poco, sarebbe utile rilanciare strumenti di collaborazione tra i soggetti della filiera”.

Manca il personale giusto

Insieme alla lontananza di flussi e alla scarsità di contatti - problemi già segnalati - lo studio di Nomisma Wine Monitor segnala infine la carenza di personale professionalizzato: spesso mancano competenze linguistiche (soprattutto al Sud), competenze sul vino, la vigna e i prodotti tipici del territorio, esperienza nella comunicazione digitale e la disponibilità a lavorare nel weekend. Sulla formazione, insomma, c’è ancora molto da fare.

Vittorio Ferladi Vittorio Ferla   
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