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Vini, aceti e "spiriti": un valore da 20 miliardi di euro tra imitazioni scadenti e troppe tasse. Lo scenario

Federvini e Nomisma fotografano l'indotto, ci sono eccellenze e un valore importante per il Pil italiano. Ma molte le minacce e troppo poca la promozione

Vittorio Ferladi Vittorio Ferla   
Michaela Pallini (foto V.F.)
Michaela Pallini (foto V.F.)

Vini, spiriti e aceti generano sul territorio nazionale un valore aggiunto pari a 20,5 miliardi di euro, corrispondenti a circa l'1,5% del Pil nazionale. Di questi, 4,9 miliardi derivano dall'attività di produzione, 9 dall'effetto indiretto (fornitori e domanda generata da loro volta) e 6,6 dall'effetto indotto generato dall'incremento di reddito percepito da tutti i soggetti coinvolti. I dati emergono dallo studio di filiera realizzato da Nomisma per Federvini presentato a Roma alla Camera dei Deputati la scorsa settimana. Il movimento si basa su più di 2.300 imprese (38 mila se si considerano anche quelle agricole di trasformazione) e può vantare 21,5 miliardi di euro di fatturato diretto.

I numeri della filiera

Sul piano occupazionale, i tre settori contano 81 mila addetti, ma grazie all’effetto moltiplicatore negli altri settori (dalla logistica ai trasporti, all’imballaggio) se ne attivano oltre 460 mila nell'intero sistema economico nazionale: un numero che corrisponde a quasi il 2% del totale dei lavoratori in Italia. Il contributo del settore è apprezzabile anche perché fornisce un importante gettito per le casse dello Stato. Nomisma calcola complessivamente circa un miliardo di euro l'anno con 266 milioni di imposte sul reddito delle imprese, 766 milioni di accise sugli spirits e 6 milioni legati al contrassegno di Stato. Senza dimenticare i circa 3,2 miliardi di IVA al consumo.

Quanto pesa l’export delle filiere di Federvini

Fuori dai confini italiani, le tre filiere vantano 10 miliardi di euro di export. L’Italia, spiega Emanuele Di Faustino, responsabile Industria Retail e Servizi di Nomisma, "è oggi il primo esportatore mondiale a valore di aceti, con una quota sull'export globale del 37%, nonché di vermouth (34%), il secondo di vini fermi imbottigliati (22%) e liquori (14%)" con una crescita complessiva negli ultimi dieci anni del valore sui mercati esteri di oltre il 76%. In termini di export, i comparti di vino, spiriti e aceti italiani ricoprono un rilievo importantissimo, non solo in merito all’incidenza sulle vendite oltre frontiera del food&beverage (19%) ma soprattutto per il contributo positivo alla bilancia commerciale agroalimentare: 8,4 miliardi di euro di saldo commerciale aggregato netto, l’apporto più alto tra i prodotti italiani del F&B. Tuttavia, proprio l’export di questi prodotti italiani è oggi a rischio, “messo a dura prova dalle sfide legate all’incerto scenario macro-economico e geopolitico internazionale. Basti pensare alla recente crisi del Mar Rosso oppure all’indagine antidumping sui distillati europei da parte della Cina, aspetti che potrebbero incidere in maniera importante”, avverte Di Faustino.

La "fotografia" del mondo del vino, degli aceti e "spiriti" in Italia

Tre filiere sempre più sostenibili

Un altra voce molto importante è quella della sostenibilità. Oltre il 90% delle imprese dei tre comparti intervistate ha sostenuto negli ultimi tre anni investimenti, oltre che per l’acquisto di beni strumentali, a sostegno della sostenibilità ambientale (packaging sostenibili, riduzione dei consumi di acqua, produzione dell’energia rinnovabile) e sociale (attività culturali, selezione dei fornitori locali, iniziative umanitarie), della formazione del personale e della ricerca e sviluppo per nuovi prodotti. “Questo ruolo attivo verso la sostenibilità trova conferma nell’85% della popolazione italiana che ritiene come le imprese di vini, spiriti ed aceti contribuiscano positivamente allo sviluppo economico dei territori nei quali sono insediate oltre che al rafforzamento dell’immagine del Made in Italy all’estero”, sottolinea Denis Pantini, Responsabile Agroalimentare e Wine Monitor di Nomisma. Questa ottima reputazione, continua, “per 7 italiani su 10, deriva anche dal contributo positivo dato dai vigneti nella tutela del paesaggio italiano, nel salvaguardare le aree rurali prevenendo l’erosione dei suoli e nel favorire il turismo”.

Pallini: la direttiva europea sugli imballaggi minaccia il settore

A partire da queste premesse e dal contributo all’economia nazionale, le tre filiere riunite sotto l’insegna di Federvini chiedono alle istituzioni maggiori tutele. “Ancora oggi le imprese sono molto esposte a incertezze di natura geopolitica, normativa, commerciale, inflattiva. La difesa di questo patrimonio del made in Italy, è una responsabilità tanto degli imprenditori quanto delle istituzioni”, avverte Micaela Pallini, presidente della federazione e titolare dell’azienda di spirits omonima. Pallini si concentra poi su alcune questioni ancora aperte, sulle quali chiede il sostegno del governo. Innanzitutto, la direttiva europea sugli imballaggi: “Vogliamo scongiurare l’impatto estremamente oneroso che il riuso potrebbe determinare per il comparto degli aperitivi, amari, liquori e distillati italiani”. Poi, nel 2025 c’è la scadenza della ridefinizione delle linee guida dell’Onu sulle norme anticancro e malattie non trasmissibili che toccano la relazione tra alcol e salute: “Sul punto chiediamo che sia penalizzato certamente l’abuso, ma non il consumo normale di alcolici”. Infine, c’è il tema dell’esplosione dei costi: “Dopo un periodo segnato dall’aumento dell’inflazione pensavamo di tirare un respiro di sollievo, ma la crisi del Mar Rosso con gli attacchi dei ribelli Houthi alle navi mercantili occidentali rischia di fare impennare di nuovo i prezzi”.

Ponti: il governo protegga le indicazioni geografiche degli aceti

Un’altra voce importante arriva dalla filiera degli aceti. “Il valore aggiunto del mondo dell'aceto in Italia - l’aceto di vino, il balsamico di Modena, gli aceti di frutta, l'aceto di riso - è decisamente rilevante. In Italia ogni anno vengono trasformati circa 600-700mila quintali di vino in aceto di vino. L'aceto balsamico, una bandiera del Made in Italy, viene esportato per il 92% all'estero e la produzione annuale si attesta intorno ai 100 milioni di litri”, ricorda Giacomo Ponti, titolare della celebre azienda con sede a Ghemme, in provincia di Novara e responsabile del settore aceti di Federvini. Che però avverte: “Sono numeri importanti, filiere solide, legate al territorio, la maggior parte delle imprese sono familiari: è un patrimonio inestimabile, un asset strategico dell'agroindustria italiana. Proprio per questo il governo dovrebbe tutelare di più i prodotti a indicazione geografica che sono esposti a numerosi tentativi di imitazione”. Il riferimento è ai casi della Slovenia e di Cipro dove delle leggi nazionali hanno avallato la possibilità di chiamare “aceto balsamico” una miscela di aceto, mosto d'uva e zucchero prodotta dalle imprese locali. Per Ponti, “è un danno rivolto non soltanto al mondo degli aceti ma a tutto l’impianto nazionale di dop e igp: il governo dovrebbe agire a Bruxelles per impedire questi abusi”.

Mastroberardino: più valore ai vini "familiari"

“I dati di Nomisma ci ricordano che il vino non è solo cultura ma valore economico che esercita un peso sulla nostra bilancia commerciale”, chiarisce Piero Mastroberardino, titolare della storica azienda vitivinicola con sede ad Atripalda, provincia di Avellino, a margine della presentazione del rapporto Nomisma-Federvini. La grande sfida è quella della concorrenza: “I mercati cosiddetti emergenti non lo sono più: sono sommersi da offerte e ognuno si muove come soggetto nazionale, basti pensare alla guerriglia francese contro i nostri prodotti”. Per recuperare gli investimenti enormi che le imprese del settore vitivinicolo hanno fatto in questi anni Mastroberardino chiede alle istituzioni di “liberare le risorse” aumentando la semplificazione burocratica: “Qui c’è il grande tema della promozione: evitiamo di farci del male”, dice l’imprenditore, con un chiaro riferimento alla vicenda dei 6 milioni di euro di fondi Ocm promozione non assegnati dal governo che hanno provocato i ricorsi al Tar da parte delle cantine danneggiate. Secondo Mastroberardino, l’investimento più importante è quello sulla ‘marca’. “Per il nostro vino, il 95% del business è legato alla marca familiare: bisogna far convergere gli sforzi di sistema dove si possono massimizzare le ricadute”, spiega. Solo con la massima spinta delle istituzioni ai brand familiari italiani sarà possibile far fruttare gli investimenti e creare valore per tutta la filiera.

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Vittorio Ferladi Vittorio Ferla   
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