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Vendemmia 2023: molta uva, pure troppa. Ma siamo antichi e crolla la domanda: il reportage

Nonostante l'impatto dei cambiamenti climatici, sempre più pesante, il comparto del vino ha spalle larghe. Ma sempre più fragili: parlano i protagonisti

Vittorio Ferladi Vittorio Ferla   
L'intervento di Frescobaldi (Foto V.F.)
L'intervento di Frescobaldi (Foto V.F.)

L'andamento climatico non permette di formulare previsioni omogenee per la vendemmia 2023 che si dovrebbe attestare sotto ai 44 milioni di ettolitri. Molte differenze, comunque, tra le regioni. Il Nord tiene molto bene, confermando i livelli di raccolta dello scorso anno. Il Centro presenta una flessione media di oltre il 20%. Il Sud e le Isole sfiorano il 30%. Il quadro emerge dal report dell’Osservatorio Assoenologi, Ismea e Unione italiana vini.

L'eccellenza minacciata dal cambiamento climatico

"La vendemmia di quest’anno è molto complessa, caratterizzata soprattutto dagli effetti dei cambiamenti climatici che sul finire della primavera e l'inizio dell'estate sono stati causa di malattie patogene come la Peronospora, alluvioni, grandinate e siccità”, spiega Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi e figura carismatica dell’enologia italiana ed europea. Tuttavia, “il discorso è più complesso sul fronte della qualità. Dalla vendemmia 2023 otterremo sicuramente vini di buona qualità, con punte di eccellenza”, assicura. Certo, le previsioni vendemmiali indicano un calo della produzione di uve significativo, soprattutto laddove la vite è stata ripetutamente attaccata dalla malattia. Proprio per questo, spiega Cotarella, “molto dipenderà dal lavoro dei tecnici, a cominciare da quello degli enologi, eseguito in vigna e in cantina. È proprio in queste annate così strane che occorre mettere in campo tutte le conoscenze tecniche e scientifiche per mitigare i danni di un clima sempre più pazzo”.

L'intervento di Cotarella (foto V.F.)

Il rallentamento della domanda

In realtà, la contrazione produttiva di quest'anno “non deve costituire un elemento di preoccupazione, visto che il livello di giacenze ha superato i 49 milioni di ettolitri, posizionandosi come il dato più alto degli ultimi sei anni”. Ne è certo Livio Proietti, il Commissario straordinario di Ismea, che aggiunge: “Il tema non è tanto la perdita della leadership italiana in termini di volumi prodotti, quanto il rallentamento della domanda interna ed estera, che sta deprimendo i listini soprattutto dei vini da tavola e degli Igt”. Secondo Proietti, bisogna “ridurre il gap in termini di valore tra noi e la Francia e rafforzare il posizionamento competitivo dei vini di qualità, facendo sì che anche i vini comuni siano sempre più caratterizzati rispetto ai competitor”.

Il tonfo della produzione

Entrando nel merito dei rendimenti regionali, un vero e proprio tonfo dei volumi si registra in Molise con -45% e in Abruzzo con -40%. Numeri impietosi: nel primo caso la raccolta di uve è pari a 129mila ettolitri (erano stati 234 nel 2022), nel secondo caso si parla di 1 milione 851mila ettolitri rispetto ai 3,085 nel 2022. Forte calo al sud in Sicilia, Calabria, Basilicata e Campania, ciascuna intorno a -30%. E ancora significative riduzioni al centro in Toscana, Lazio, Umbria e Sardegna, tutte con quantità ridotte del 20% e nelle Marche -25%. In particolare, la produzione di vino in Basilicata dovrebbe attestarsi intorno a 68mila ettolitri, con un calo del 30 per cento rispetto al 2022, quando fu di 97 mila ettolitri. Nel periodo 2018-2022, in media in Basilicata furono prodotti 88mila ettolitri di vino e mosto.

Le regine: Lombardia, Veneto, Puglia ed Emilia-Romagna

Chi sorride sul piano numerico è la Lombardia che segna una crescita del 15% con 1,271 milioni di ettolitri rispetto ai 1,106 del 2022. Nelle posizioni di testa per quantità prodotte resta la 'locomotiva' Veneto con una crescita del 5% (13 milioni e 232mila ettolitri) che mantiene il primato dei volumi per regione. A seguire ci sono la Puglia con 7 milioni e 600 mila ettolitri (-25%) e l'Emilia Romagna che quest'anno si attesterà sotto i 7milioni con 6,884 (- 4,5%).

C'è troppa uva

Ma al di là delle potenziali perdite di raccolto, il problema più rilevante per il Vigneto Italia è esattamente il contrario, ovvero l’eccesso di produzione. Lo spiega bene Lamberto Frescobaldi, presidente di Unione Italiana Vini: “Non ci possiamo più permettere di produrre 50 milioni di ettolitri come nelle ultime vendemmie, e non può essere una malattia fungina a riequilibrare una situazione che ha portato di recente al record di giacenze degli ultimi anni. Sorprende, a questo proposito, come molti si preoccupino ancora di rimanere detentori di uno scettro produttivo che non serve più a nessuno: oggi più che mai si impongono scelte politiche di medio e lungo periodo, a favore della qualità e di una riforma strutturale del settore”.

La relazione sulle giacenze (foto V.F.)

O ci modernizziamo o andremo in sofferenza

La priorità, continua Frescobaldi, diventa così l’ammodernamento dei vigneti italiani, "mediamente vecchi, difficili da meccanizzare e costosi da gestire”, per i quali “serve anche revisionare i criteri per l'autorizzazione 'a pioggia' di nuovi vigneti in base alle performance delle denominazioni, oltre a ridurre le rese dei vini generici e rivedere il sistema delle Dop e Igp, compresa la loro gestione di mercato”. Con questi strumenti, secondo l’Uiv, il vino italiano potrà fare il salto di qualità necessario ad affrontare sia la situazione congiunturale dei mercati che i cambiamenti strutturali della domanda e delle abitudini di consumo. Infine, conclude Frescobaldi, “occorrerà cambiare marcia sul piano commerciale, a partire da una promozione di bandiera capace di coinvolgere le imprese sin dalla sua pianificazione”.

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