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Vitigni reliquia, la riscoperta di un tesoro antico del vino. Perfetto anche contro il cambiamento climatico

Ansaldi, Padova e Di Grazia raccontano come sono arrivati a valorizzare un patrimonio enologico antico e resistente. Che è una nuova delizia

Vittorio Ferladi Vittorio Ferla   
Angelo Di Grazia al lavoro con i vitigni reliquia (foto V. F.)
Angelo Di Grazia al lavoro con i vitigni reliquia (foto V. F.)

Cambiamenti climatici, evoluzioni del gusto, vinificazioni meno invasive: come affrontare queste nuove tendenze del mondo del vino? Una strada da percorrere potrebbe essere la riscoperta dei vitigni reliquia, vitigni autoctoni resistenti e buonissimi ma dimenticati. Ne abbiamo parlato con Angelo Di Grazia, 41 anni, enologo di Licodia Eubea, cittadina nell’estremo sud della provincia di Catania. 

Quegli antichi "maestri" che spuntano dalla terra

“Qualche anno fa ho visto che l’Irvo, l’Istituto regionale della vite e dell’olio, stava realizzando una ricerca sui vitigni reliquia, più resistenti e adatti al clima siciliano, ed è scattato l’interesse”, racconta. La ricerca è opera di Giacomo Ansaldi, che unisce all’attività di enologo nella sua azienda a Marsala, quella di “archeologo” delle viti reliquia. Ansaldi ha pubblicato il volume “Identità e Ricchezza del Vigneto Sicilia”, un trattato generale che accende un faro sull’immensa biodiversità ampelografica siciliana.

Massimo Padova con i suoi vini reliquia (foto V. F.)

Due pionieri in Sicilia

Angelo Di Grazia studia la ricerca di Ansaldi e passa alla pratica. Decide di piantare tre varietà reliquia nel suo piccolo podere alle porte di Licodia Eubea, sotto il Monte Altore. “Ho scelto Recunu, Cutrera e Rucignola, quelle più vicine alla mia idea di enologia: amo le acidità e le sapidità. Tre vitigni che in questi suoli misti di calcare e basalto, si sono ambientati subito”.

Cinque anni fondamentali

Siamo nel 2019 e proprio nello stesso momento Massimo Padova, titolare della cantina Riofavara a Ispica (provincia di Ragusa ma ancora territorio della Val di Noto sul piano vitivinicolo), è alla ricerca di un enologo locale per essere seguito più da vicino. Racconta Angelo: “Mi ha chiamato e sono andato a trovarlo. Quindi assaggiamo i vini e mi dice: voglio che tu assaggi questo. Era un vino realizzato con le stesse uve reliquia che avevo piantato io. Alla sua enologa precedente quel vino non piaceva, lo reputava troppo acido e squilibrato. Invece a me è piaciuto tantissimo. Quello che appariva un difetto era la proprio la sua peculiarità. Così gli dico: non so cosa ti hanno detto gli altri, ma io non lo userò per fare i tagli, lo imbottiglierò da solo. E se non vuoi che collaboriamo ok, me lo compro tutto io. A gennaio mi richiama e mi dice: voglio rischiare, facciamolo”. Comincia così la collaborazione tra i due.

Lo "Nsajar" (foto V. F.)

Una sfida contro la siccità e i luoghi comuni

“Si trattava di una sfida: quei vitigni - continua Angelo - avrebbero attecchito in quel territorio dove in vendemmia si sfiorano i 48 gradi e dove d’estate c’è una modesta escursione termica? La risposta è sì. I vitigni reliquia hanno tenuto un equilibrio vegeto-produttivo formidabile e possono contare su un ph bassissimo. Il Recunu è un’uva da spumante, ha un bellissimo scheletro, struttura e acidità. Questo vino dai vitigni reliquia ti fa fare una svolta: sembra fatto in Alto Adige. È un vino che non ti aspetti vicino al mare. Il Grillo in certe annate calde diventa grasso e alcolico, invece il Recunu mantiene eleganza anche nelle stagioni siccitose”.

Come qualcosa di troppo acido diventa una delizia

Racconta Di Grazia: “Quel vino era acidissimo e tagliente, ma imbottigliato a febbraio e lasciato lì, dopo l’estate era buonissimo. Massimo mi ha detto: Angelo, meno male che c’ho creduto”. Poi arriva il toto-nome. A Clementina, la figlia di Massimo, viene l’idea giusta: Nsajàr, un termine dialettale siciliano che significa “provare per riuscire”. “Insaiati questa camicia significa provala perché ti sta bene: un nome perfetto. Oggi Nsajàr è diventato il simbolo di questa azienda. Grazie a questo vino dai vitigni reliquia e con vendemmie un po’ anticipate a causa del cambio climatico stiamo svecchiando la zona di Noto”, assicura Angelo.

Filosofia: intervenire il meno possibile

Il vantaggio dei vitigni reliquia appare evidente sul piano enologico dei trattamenti in cantina. “L’acidità di questi vitigni funge anche da conservante. Cerchiamo di non filtrare e non chiarificare”, spiega Angelo. Possiamo parlare di vino naturale? “Oggi naturale è diventato un parolone - chiarisce - diciamo che preferiamo una enologia sottrattiva e non additiva, una filosofia che prevede di non intervenire se non c’è necessità. Del resto, il chiarificante depaupera la struttura e la filtrazione sterilizza. Inoltre grazie ai vitigni reliquia non ho bisogno di solforosa e ho la possibilità di conservare un approccio delicato al vino”.

I quattro "pilastri"

Anche per questo Recunu, Cutrera e Rucignola - insieme con il Carricante - sono pure la base del Contatto Bianco, il vino prodotto dall’azienda personale di Angelo Di Grazia. “Ansaldi - racconta - è rimasto scioccato per la 2022 del Contatto Bianco che faccio qui a Licodia Eubea. Si sentono tutte le caratteristiche dei vitigni reliquia. Il Recunu, che resta un po’ acerbo, garantisce la spalla acida e diminuisce l’apporto di alcol. Tant’è vero che Ansaldi lo ha sperimentato nella spumantizzazione. La Rucignola offre un’acidità bilanciata e una piccola surmaturazione che arricchisce il profilo aromatico. La Cutrera matura molto bene e aggiunge altri indicatori aromatici”.

Il "Contatto bianco" (foto V. F.)

Cambiamento climatico e vini bianchi

In più, parliamo di vitigni che possono fronteggiare anche il cambio climatico… “Assolutamente sì, sono perfetti a questo scopo” assicura Angelo. In assoluta controtendenza Recunu, Cutrera e Rucignola vengono benissimo in territori aridi, bruciati dal sole e considerati vocati per i vini rossi come il Nero d’Avola e il Frappato. Una scoperta che potrebbe aiutare non solo per fronteggiare il clima ma anche per incrociare la tendenza del mercato verso il consumo di vini bianchi e spumanti. Conferma Di Grazia: “Qui fa troppo caldo, perché devo fare un rosso dove non riesco a controllare l’alcol? Un Nero d’Avola da 14,5 gradi di alcol non lo bevo più, certi rossi non si bevono più. Ora devi andare su 12,5”. Quindi i vitigni reliquia sono i vitigni del futuro? “Certo - conferma - bisogna avere un occhio al passato per cambiare il futuro. Dobbiamo dare voce a ciò che era rimasto nell’ombra. Mettiamo le uve reliquia in bottiglia, anche quelle rosse. È un progetto rischioso da far conoscere ai giovani. Bisogna uscire dalla comfort zone. La Sicilia è terra di bianchi”. Meglio ancora se provengono da uve reliquia.

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