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Olive danneggiate e puzzolenti? Ecco il boom dell'olio deodorato: come viene prodotto e perché si diffonde

Il meteo sempre più estremo e la speculazione post guerra fa impennare i prezzi e diminuire le tonnellate di olive disponibili. Così ecco "l'aggiustamento"

di FoodCulture   
Olive danneggiate, maleodoranti e poi 'corrette'. Cosa c'è nella bottiglia? (Foto Ansa/Shutterstock)
Olive danneggiate, maleodoranti e poi "corrette". Cosa c'è nella bottiglia? (Foto Ansa/Shutterstock)

L'oro verde è sempre al centro dei dibattito alimentare, specie per l'impennata del suoi prezzi finali arrivata sia per i movimenti speculativi successivi allo scoppio della guerra fra Russia e Ucraina, sia per la stagione delle piogge molto irregolare che influenza il raccolto finale. Con ricaduta sul prezzo della bottiglia al consumatore. Ed ecco perché l'extravergine arriva a toccare e superare i 10 euro la bottiglia. Specie se la denominazione d'origine è sempre più controllata, nazionale, locale. Caso diverso sono gli oli ottenuti dalla spremitura e mescolanza di olive "comunitarie". In questo ambito di produzione la Spagna (con le sue enclavi in Nord Africa) è uno dei Paesi leader, e grande protagonista dell diffusione di olio d'oliva deodorato. Di cosa si tratta?

Leggi anche: costi dell'olio d'oliva alle stelle. Cosa li sta facendo impazzire

Balzo indietro nel tempo

Dal 1 aprile del 2011 l'Italia ha dichiarato legale la produzione e vendita di olio d'oliva deodorato, seguendo la modifica del regolamento Ue n. 2568/91 che fissa le nuove caratteristiche degli oli d’oliva e degli oli di sansa d’oliva. Con il nuovo limite europeo di alchil e metil esteri (composti che si formano nell'olio dalla combinazione di acidi grassi e alcol metilico) fissato a 75 mg/kg, molti produttori si sono trovati di fronte alla necessità di rendere commerciabili olive ammassate prima della spremitura, o che avevano cominciato a fermentare per terra o che ancora erano state "maltrattate" durante la raccolta. Con una qualità finale della materia prima molto peggiore, il primo sentore della quale è l'odore sgradevole emanato. Da lì la necessità di deodorarle.

Il pessimo olio "annerito" in giro per l'Italia. La retata dei Nas: leggi qui

Come si rende commerciabile un olio problematico

La deodorazione, che riguarda specialmente le olive raccolte per la spremitura in zone particolarmente calde (tipo l'Andalusia spagnola) si effettua in due modi. Primo, immettendo aria nelle olive parziamente compromesse o maleodoranti, così che la ventilazione forzata favorisce una sorta di evaporazione che elimina i cattivi odori, e secondo, una talcatura che isola ed espelle le particelle chimiche che stanno facendo degenerare le olive. L'olio così deodorato torna ad avere odore, aspetto e gusto accettabile e può essere venduto a prezzi molto più economici del tradizionale EVO o d'oliva di prima scelta. 

Olio fresco di spremitura nel pane. Una preziosità, costo compreso (Shutterstock)

Con cosa condiamo il nostro cibo

La Spagna, Paese leader in Ue nella produzione di olio d'oliva, e dunque metro di paragone per gli altri mercati, quest'anno produrrà attorno a 850mila tonnellate di olio, ma meno del 40% di questo sarà EVO. Quindi con caratteristiche di qualità inferiori, e più facile ad ossidarsi e a rovinarsi anche dopo l'acquisto. Le stime dicono che attorno alle 100mila tonnellate di olio verranno deodorate, con costo finale fra i 6 e i 7 euro la bottiglia (ma ce ne sono anche che non toccano i 4 euro, e qui ci sarebbe da rabbrividire). Veniamo all'Italia, come siamo messi dopo l'ultima raccolta delle olive? I dati della Borsa olearia di Bari dicono che la quotazione dell'extravergine d'oliva è stabile fra i 9 e i circa 10 euro la bottiglia e che c'è una giacenza inferiore alle 60mila tonnellate. La richiesta del mercato resta fortissima, e la qualità dell'olio italiano alta. Ma i quantitativi sono quelli che sono, qui e altrove, ed ecco la ragione della diffusione sempre più rapida ed estesa dell'olio d'oliva deodorato. 

Un olio su due venduto come extravergine non lo è: i test, le diffide, i dati. Leggi qui

 

di FoodCulture   
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