Conti in crisi e mancato lancio in Borsa, finisce un'epoca: Farinetti cede il controllo di Eataly
A 18 anni dalla fondazione, punto e a capo. La nuova gestione avrà il 52% del capitale e dovrà fare tutte le cose non fatte finora. Incluso azzerare i debiti

Diciotto anni di vita, un grande lancio imprenditoriale e mediatico dell'eccellenza del cibo e della produzione di vini e distillati italiani di altissimo pregio. Una vetrina mondiale col sogno di essere quella definitiva, insuperabile, nel presentare al mondo il meglio del nostro Paese. Nel mezzo il progetto, a lungo rimandato e finora rimasto a mezz'aria, del lancio in Borsa. Eataly è stata la chiacchieratissima e prestigiosa avventura di Natale "Oscar" Farinetti in questo ambito. Fino al passaggio che ambisce a cambiarne la forma e il passo: l'acquisizione del 52% del capitale da parte del fondo di private equity Investindustrial, fondato da Andrea C. Bonomi. Farinetti perde il controllo della sua creatura, che dal nuovo azionista di riferimento riceve 200 milioni per ridurre il debito e provare a finanziare l'espansione di Eataly. E' la fine di un'epoca.
Un impero a cui serve un nuovo motore
Eataly è una catena di promozione e vendita dell'eccellenza enogastronomica italiana presente in 15 Paesi in tutto il mondo e articolata in 44 negozi. Il fatturato atteso entro quest'anno è di circa 600 milioni. Il valore c'è, non il "carburante" necessario a spingere ulteriormente la crescita del marchio, stanti anche i debiti. Ecco perché l'arrivo del fondo di Bonomi è stato salutato con un misto di nostalgia del passato e di entusiasmo per questo nuovo corso che va ad aprirsi. Farinetti, l'uomo che vendette Unieuro per reinvestire proprio nella grande avventura del cibo e del vino, resterà presidente. Si attende la nomina del nuovo amministratore delegato per completare il cambio di nomi e volti alla guida di Eataly. Investindustrial ha già sostenuto altri grandi marchi italiani del cibo, da La Doria a Italcanditi fino a Dispensa Emilia. E in passato ha partecipato al rilancio e all'espansione di aziende come Zegna, Gardaland e Ducati.
"Fico" ma non troppo: i problemi da risolvere
Scrivevamo: finisce un'epoca. Con il passaggio in secondo piano di Farinetti e dei detentori del capitale legati a lui e alla sua famiglia, nello stesso periodo Carlo Petrini lascia la guida dell'altro gigante dell'enogastronomia d'eccellenza italiana, Slow Food. Ma per ragioni e in condizioni diverse, come vedremo in un approfondimento a parte su FoodCulture. Tornando a Eataly, la nuova gestione dovrà sciogliere nodi rimasti lì da tempo. Quello dell'indebitamento, in parte risolto dall'arrivo di Investindustrial e che contribuirà a far rilassare i piccoli investitori scontenti della gestione precedente. E quello dell'assetto internazionale complessivo, che passerà per la quotazione in Borsa sempre annunciata da Farinetti e sempre rimandata.
Il tabù del lancio in Borsa: si e invece no
Se ne parlava nel 2014, poi due anni dopo con l'arrivo di Andrea Guerra, ex Luxottica, che spingeva per quotare l'azienda quando valeva 1 miliardo di euro. Oggi siamo a metà di quel valore, ma con margini di crescita dopo il riassetto. Nel mezzo, il flop di Fico, il grande parco a tema dedicato al cibo ideato da Natale "Oscar" Farinetti, insieme a Coop, Comune di Bologna, investitori privati e associazioni di categoria, con uno sforzo iniziale di 150 milioni di euro, con una perdita a seguire di 8. L'impero promozionale del food and wine italiano d'eccellenza traballava, fra malumori interni e aumenti di capitale per tappare la falla. Nicola Farinetti, figlio di Oscar, dovrà lasciare il ruolo di amministratore delegato, come già avvenne con Cigarini messo al timone di Fico a Bologna. Grande visione, grandi fragilità. Sì, finisce un'epoca, quella targata Farinetti. Via ad una gestione allargata che deve invertire la tendenza alla perdita. Vedremo se riuscirà a farlo.