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Cosa pago col "coperto"? Da dove nasce l'odiosa abitudine italiana. E il rischio di abolirlo

La pratica è addirittura medievale ma allora locande e osterie funzionavano in modo completamente diverso. Oggi c'è e può essere salato. E altrove?

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Cameriere gentile e dedicato, ma si paga tutto col 'coperto' o 'servizio' (Shutterstock)
Cameriere gentile e dedicato, ma si paga tutto col "coperto" o "servizio" (Shutterstock)

Nuovo anno, nuovo tour fra cucine, tavoli e sapori e nuova polemica sul perché solo in Italia si debba pagare il coperto incluso nel conto finale. Una tipicità nostra che non ha uguali all'estero, dove però, attenzione, al momento di pagare non sono tutte rose e fiori. Spiegheremo il perché. Cominciamo dalla base: da dove nasce la pratica di includere la voce coperto nel conto di un pranzo, uno spuntino o una cena fuori casa? E davvero se ne può fare a meno?

Le origini

L'odiatissimo coperto pare sia nato da una necessità nell'Italia medievale. A quel tempo i viandanti si fermavano nelle locande spesso per trovare riparo dal freddo e la maggior parte dei locali serviva vino. Il cibo non era spesso contemplato nell'offerta di ristorazione, così gli stessi viaggiatori e clienti di vario genere si portavano a tavola dentro il locale il loro fagotto di cibo. L'oste di turno faceva allora pagare il coperto, cioè la possibilità di avere tavolo, sedia e bicchiere in un posto riparato, dove mangiare le proprie cose e bere quel che offriva la cantina.

Mangia la tua roba, bevi la mia che ti riparo e paghi

Gli avventori più mangiavano più bevevano e questo era il business di allora. Solo in un secondo momento i locandieri presero l'abitudine di coprire con tovaglie i tavoli, per evitare di dover penare appresso ai resti alimentari lasciati lì da chi entrava, pagava per la sosta, beveva e poi si alzava per andare altrove. Anche il ritiro di quei rimasugli, facilitato dalla tovaglia raccolta ad infagottarli, era considerata parte del servizio per cui si pagava. Questo ai tempi di Dante, Boccaccio e Ariosto. Oggi è tutto diverso e nessuno si porta appresso il cibo da casa. Eppure nel conto finale ecco le voci coperto o servizio, molti fanno pagare a parte il pane.

Le proteste, l'estero e rischi se lo si elimina

Cosa paghiamo, allora, quando paghiamo il coperto o servizio? E soprattutto, è legale? La risposta è un ni. Nel senso che la pratica non è esplicitamente normata ma è compresa nel Regio Decreto n. 635/1940 che impone a chi fa ristorazione di "esporre nel locale dell’esercizio, in luogo ben visibile al pubblico, la licenza, l’autorizzazione e la tariffa dei prezzi". Il tanto dovuto per il coperto va incluso nei menu e questo mette al riparo da sanzioni pizzerie e altri ristoratori. Ma pagare per cosa? Due o tre euro, quando va bene, per un foglio di carta e un tovagliolo in una pizzerie sono giusti? Il vecchio coperto non esiste più da secoli, è dunque tollerabile chiedere di pagare l'uso delle posate, dei bicchieri e cos'altro, dell'acqua ed energia elettrica per pulirli? La questione non è stata mai risolta, in alcune regioni (fra cui recentemente il Lazio) e in alcuni comuni, apposite ordinanze e leggi hanno vietato di far pagare il coperto, suggerendo al limite di inserire le voci pane e servizio a discrezione del ristoratore. Ma pure qui: è giusto far pagare a parte il pane? C'è chi fa notare che darlo gratis espone al rischio che si ordini poco cibo e ci si "gonfi" di fette e bocconi di pane per pagare meno. E chi ricorda che all'estero la voce coperto non esiste, ma una serie di costi di esercizio possono essere spalmati in minime maggiorazioni sulle altre voci di menu. Senza dimenticare la pratica della mancia: non automatica in Italia ma spesso negli altri Paesi sì, al punto che si rischiano occhiatacce e pessime reazioni ad uscire dal locale senza aver lasciato qualcosa di più per il cameriere che ci ha servito, e comunque per il locale. 

 

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