Pranzo italiano della domenica, top del mondo "ma la cucina italiana non esiste". Ed esplode la polemica
Da una parte l'esaltazione del New York Times che fa il giro del mondo, dall'altra la demolizione di falsi miti da parte di Alberto Grandi. Facciamo il punto
In questi giorni la cucina italiana è più che mai al centro dell'attenzione generale. Non che ne avesse bisogno, considerata da sempre una delle più ricche e varie. Ma che se ne accorga la "bibbia" del giornalismo più autorevole, il New York Times, celebrando un rito che noi stessi pensavamo ormai perduto, accende nuova luce sull'appoccio al cibo nel nostro Paese. Il NYT considera il pranzo ialiano della domenica "il migliore" in assoluto, con i suoi ritmi e il suo modo di svolgersi (qui l'articolo originale). Ad affascinare un quotidiano online con un pubblico così grosso a livello mondiale, è l'abitudine di trovarsi tutti nella stessa casa, attorno alla stessa tavola, e concedersi tutto il tempo necessario per stare assieme, parlare, assaporare dei piatti preparati con grande cura. Un "rito" che sa tanto di vecchia famigliola tradizionale, di post passeggiata in relax, messa cattolica inclusa. Ma mentre la celebrazione è al suo apice, due fatti arrivano a turbarla.
La grande domanda
Ma davvero il pranzo italiano della domenica è ancora un'abitudine centrale nel nostro Paese? Certo la tradizione esiste ma le famiglie sempre più frantumate, così come i ritmi e le modalità di indipendenza dei vari componenti, in realtà mettono a dura prova l'integrità di quello che un tempo era davvero un ritrovo irrinunciabile (voluto o imposto che fosse). Il ministro della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, non poteva che commentare questa esaltazione dell'italianità, del "miglior modo di stare insieme e di dimostrare affetto ai nostri cari". Sottolineando che però la cucina italiana non è ancora Patrimonio dell'umanità secondo l'Unesco, come già accade per quelle coreana, giapponese, messicana e francese. La candidatura in corso punta a colmare il divario e ottenere il giusto riconoscimento. Ma nel mentre ad agitare una volta di più la serenità dei tradizionalisti arriva un libro scritto a quattro anni che è fatto apposta per distruggere la mitologia della cucina italiana.
Grandi, sempre lui
Avevamo già scritto qui di Alberto Grandi, docente dell'Università di Parma dove insegna Storia delle imprese, Storia dell'integrazione europea e ha insegnato Storia economica e Storia dell'alimentazione. Autore di podcast e libri sui miti del cibo e le reali origini, non a caso si era già scontrato in modo frontale con Coldiretti e il ministro Salvini quando dando alle stampe Denominazione di origine inventata, sostenendo che la cucina povera, genuina ed essenziale dei nostri antenati aveva poco a che vedere con il modo in cui viene raccontata tuttora. E affondando un paio di colpi mica da ridere, come il sostenere che il vero Parmigiano tradizionale lo si trova nel Winsconsin, negli Usa, e che la pizza italiana del primo Novecento era povera e niente di così speciale, tanto che a suo avviso la prima vera pizzeria sarebbe stata aperta a New York nel 1911. Ma ora Grandi va ancora più a fondo con un saggio dal titolo eloquente: La cucina italiana non esiste. Dove in tandem con Daniele Soffiati, già coautore del podcast Doi, fa a pezzi la presunta storicità di pasta, pizza, carbonara, caffé all'italiana e pecorino romano. Da qui la seconda grande domanda, di fronte all'estasi del New York Times: cosa stiamo celebrando quando esaltiamo il pranzo italiano della domenica? E mentre l'interrogativo è servito, a dar fuoco alle polveri di nuove polemiche, noi lo anticipiamo: presto FoodCulture intervisterà Alberto Grandi e gli chiederà conto delle sue posizioni così radicali.