Dalla super mucca di Gates agli Ogm che l'Italia non coltiva ma importa: le bugie sul cibo da combattere
Il terrorismo sul nuovo progetto del miliardario e l'immobilismo nel trattamento genetico di piante e semi. Un progetto di ricerca fa chiarezza. Intervista
In Italia non si possono coltivare Ogm, ma si possono importare e utilizzare, e si può ipoteticamente fare ricerca (in laboratorio ma non in campo aperto). Un’incoerenza esemplare. Questo significa che la richiesta esistente viene assorbita in altro modo: acquistando Ogm dall’estero. Soprattutto Nord e Sud America per mais e soia, Cina e India per il cotone (anche quello idrofilo, usato in campo medico), e tra i paesi da cui importiamo c’è anche l’Ucraina (e Chernobyl?).
Perché sbagliamo approccio
Eppure il dibattito sulla questione è spesso ideologico e di trincea, e cercare sul Web informazioni da fonti verificate non è affatto facile per i non addetti ai lavori. Per esempio, pochi di noi sanno che il mais Ogm free potrebbe essere cancerogeno (come qualsiasi mais contenente micotossine), esposto com’è all’attacco della piralide, una farfallina che depone le larve negli stocchi del mais, e veicola funghi che producono tossine cancerogene: per questo, agricoltori e allevatori sono costretti a eliminarlo e ad acquistare dall’estero mais Ogm.
"La velocità della luce non si decide per alzata di mano"
Non è facile dar conto ai non addetti ai lavori, in modo corretto e comprensibile, il dibattito su questioni afferenti a un tipo di sapere molto tecnico e ad alto tasso di conflittualità: qual è il modo migliore - se ne esiste uno solo - di fare divulgazione su questi temi, dunque? Come rendere accessibile ai cittadini la scienza è una questione enorme, in passato sottovalutata dagli stessi scienziati. “La scienza non è democratica. La velocità della luce non si decide per alzata di mano”, ha detto tempo fa Piero Angela riferendosi alla facilità, nell’epoca dei social, con cui si esprimono opinioni superficiali su temi complessi. E anche se al grande divulgatore scientifico, tutti dobbiamo tanto, una dozzina di giovani studenti dei tre Atenei di Pisa lavorano per smentirlo.
Le cose da saper raccontare per bene
Si chiama Progetto biotecnologico e parte proprio dalla volontà di condividere con tutti le conoscenze acquisite nei percorsi universitari e di contribuire alla maturazione dell'opinione pubblica anche su argomenti controversi come le biotecnologie in agricoltura e i vaccini. “Come giovani studenti, come cittadini e come futuri agenti di cambiamento crediamo che l'innovazione in agricoltura sia essenziale per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile: appunto, dalle biotecnologie all’IoT - Internet of Things - in agricoltura e in campo medico, alla l'intelligenza artificiale” spiega a Tiscali FoodCuture Sessen Daniel Iohannes, tra i coordinatori del progetto. Sessen è allieva della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa e si sta specializzando in Scienze agrarie e biotecnologie vegetali: “Siamo però convinti che l'innovazione scientifica da sola non basti: occorre fare ricerca e soprattutto saperla comunicare”. L’obiettivo è - come diceva Norman Borlaug il padre della rivoluzione verde, spiega Sessen, Take it to the farmers: portare i risultati della ricerca direttamente agli agricoltori. Incidere sulla realtà. “Ruscire a generare impatto”. Ecco cosa si augura la studentessa del Sant’Anna che un anno fa, insieme a una dozzina di colleghi ha avviato questa iniziativa di divulgazione scientifica, tanto ambiziosa quanto necessaria.
L'innovazione non funziona senza formazione
Nata in Italia, cresciuta ad Asmara, in Eritrea, e tornata qui per gli studi, questa giovane ricercatrice, dopo la laurea magistrale in Biotecnologie Molecolari all'Università di Pisa con una tesi sulla genomica delle piante, alcuni mesi fa, ha iniziato una collaborazione alla ricerca presso il gruppo di genetica delle piante sempre al Sant'Anna. “Non ci può essere sviluppo sostenibile senza innovazione scientifica, ma non ci può essere neanche innovazione scientifica senza ricerca e buona comunicazione che a sua volta non esiste senza formazione e partenariato”.
Hanno le idee chiare Sessen e i suoi giovani colleghi del Sant’Anna, della Scuola Normale Superiore e dell’Università di Pisa, e questo si capisce andando a visitare i social del progetto Biotecnologico. Un post pubblicato su Instagram - visitate il loro profilo: @progetto.biotecnologico - racconta in un modo comprensibile a tutti cosa sia la “super mucca di Bill Gates”: una mucca geneticamente ingegnerizzata, capace di produrre grandi quantità di latte in ambienti caratterizzati da un clima molto caldo, come nel continente africano, dove il filantropo vorrebbe contribuire a prestare soccorso a milioni persone che soffrono la fame e la povertà.
Il miracolo agricolo non esiste
Ecco perché “occuparsi di agricoltura”: “Cambiamenti climatici, depauperamento delle risorse, erosione dei suoli: sono alcune delle sfide che stanno minacciando lo sviluppo sostenibile e la sicurezza alimentare, pilastri dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”. E cita ancora Norman Borlaug che, in occasione del conferimento a Premio Nobel per la pace nel 1970, disse: “Non esistono miracoli nella produzione agricola, non esistono cure che possano servire come elisir per curare tutti i mali di un’agricoltura tradizionale stagnante”.
Non esistono ma si può lavorare per sbloccare la situazione. “Uno dei problemi principali dell'agricoltura italiana ma che poi si riflette anche in altri ambiti - per esempio in ambito culturale - è quello che il professor Michele Morgante nel suo libro I semi del futuro, indica come immobilismo genetico”: è quella visione molto romantica ma distorta della realtà che ritrae l'agricoltura come qualcosa di naturale e che vede “qualsiasi intervento dall'esterno come qualcosa di innaturale e quindi da scartare”. Questa tendenza rischia di “mettere a repentaglio il progresso scientifico tecnologico ed economico”.
Troppi anni di notizie forzate per fare click e sensazione sul cibo: basta
Un pezzo importante dell’attività collegata al Progetto Biotecnologico, spiega Sessen Daniel Iohannes, “è fare debunking”, dunque, smentire, basandosi su metodologie scientifiche, affermazioni false, esagerate, antiscientifiche. I canali social riescono a raggiungere una platea piuttosto vasta di utenti e dunque informazioni così complesse, veicolate in un registro semplice ma mai banale, hanno enormi chance di successo. “È essenziale che scienziati e ricercatori riescano a collaborare, uscendo dalla propria nicchia: "sfruttare l'intelligenza anche collettiva è uno dei grandi insegnamenti di questa pandemia”, spiega Sessen che sottolinea l’importanza di unire “ricerca di base e ricerca applicata” e di “investire su entrambe”.
Da dove ripartire
Parole d’ordine: interdisciplinarietà e approccio scientifico. E “comprendere quello che François Jacob chiamava ‘La logica del vivente’: soltanto dalla comprensione dei meccanismi che stanno alla base di diversi processi biologici - che viene acquisita con la ricerca di base - si può poi passare alla loro applicazione”. La giovane scienziata, poi, conclude: “Noi divulgatori in divenire siamo nani sulle spalle dei giganti”, i tanti divulgatori scientifici che in questo Paese, da anni, lavorano, spesso in solitudine, per rendere la scienza accessibile a tutti. Non cita, tuttavia, il filosofo francese Bernardo di Chartres il quale aggiungeva: "Siamo nani sulle spalle dei giganti così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane”.
Deve essere così.