Tiscali.it
SEGUICI

"Brandacujùn!": il nome volgare e la storia incredibile. Viaggio fra i piatti tipici italiani, e invece no

Prosegue il nostro tour fra le pietanze tipiche delle diverse regioni. Orgoglio tradizionale, certo, ma fra molte bugie e favolette. Ripartiamo dalla Liguria

Alessandra Guigonidi Alessandra Guigoni   
Farinata lugure (Shutterstock) e Brandacujun (su licenza Creative Commons dal sito Innaturale)
Farinata lugure (Shutterstock) e Brandacujun (su licenza Creative Commons dal sito Innaturale)

Farinata, Pizzalandrea, Brandacujun, ecco tre pietanze identitarie della Liguria, superba regione con un patrimonio gastronomico di grandissimo pregio. Purtroppo sull’origine e l’etimologia di queste squisite pietanze si raccontano un bel po’ di favolette.Forse qualche ligure si ribalterà dalla sedia, ma la verità storica va ristabilita. Iniziamo dalla pizzalandrea.

Alle origini, quelle vere

Pizzalandrea è una focaccia farcita caratteristica della provincia di Imperia. Il topping della focaccia è costituito da olive taggiasche, acciughe, capperi, pomodoro e aglio. A volte ci viene raccontato che è originaria di Oneglia, città natale del mitico ammiraglio Andrea Doria, uno dei protagonisti della storia della gloriosa Repubblica di Genova. Il nome deriverebbe, secondo molti siti web, da Andrea Doria stesso: significherebbe “pizza all’Andrea (Doria)”. Poetico ma falso.

Pizzalandrea o Sardenaria: molto simili. Ecco la preparazione. Video

La pizzalandrea non è altro che la versione italianizzata di una famosa focaccia provenzale, la pissaladière, dove pissalat è il pesce salato, le acciughe appunto, che sono tra i principali condimenti del topping di questa gustosa focaccia. Insomma a Ventimiglia si dice pizzalandrea, passato il confine torna pissaladière, con pochi cambiamenti.

Pizzalandrea, o Sardenaria o ancora Sardenaira (su licenza Creative Commons)

Brandacujùn, un nome evocativo con una gran storia dentro

E il famoso Brandacujùn? Si tratta di una crema di stoccafisso (o baccalà) e patate, tipica del Ponente ligure. La ricetta prevede merluzzo conservato, lessato con patate in acqua salata; scolato si aggiungono aglio, prezzemolo, olio evo, succo di limone e/o zeste di limone, sale, eventuale pepe. L’etimo popolare di entrambe le storielle che si tramandano di generazione in generazione fa arrossire e sorridere. Gli ingredienti infatti devono risultare sminuzzati e rimestati. Per farlo si usa una paletta di legno ovviamente o un attrezzo simile. La prima leggenda racconta che l'operazione era svolta da uomini che si aiutavano con il bacino nello scuotere la pentola, “brandarla”: da qui la goliardica seconda parte del nome, dedicata agli “attributi” maschili. La seconda fola narra che il piatto fosse affidato al più sempliciotto della compagnia, che veniva spinto a muovere la padella al grido di "branda, cujun!".

E torniamo in Provenza

In realtà il nome di questa pietanza è provenzale, la Liguria del resto ha sempre avuto rapporti molto stretti con il sud della Francia. Brandacujùn deriva da Brandade de morue provenzale, morue è il baccalà mentre brandade deriva dal francesce branler, letteralmente “mettere in movimento” e si riferisce alla consistenza del piatto, i cui ingredienti vanno amalgamati perfettamente. Gli ingredienti della versione francese sono praticamente uguali, tranne per le patate, che non facevano parte dell’antica ricetta originaria.

Farinata, uno "street food" molto apprezzato (Shutterstock)

Terminiamo in bellezza con la farinata

E' forse la pietanza più famosa delle tre. La farinata ligure (fainâ) ha origini mitologizzate, chiaramente false. La leggenda narra che sia nata per caso nel 1284, quando la repubblica di Genova sconfisse Pisa nella famosa battaglia della Meloria. Secondo la novella le galee genovesi, cariche di vogatori prigionieri, si trovarono coinvolte in una tempesta. Nel trambusto alcuni barilotti d’olio e dei sacchi di ceci si rovesciarono, inzuppandosi di acqua salata. Il giorno dopo i marinai liguri assaggiarono questa poltiglia, che nel frattempo si era seccata, e la trovarono buona. La notizia passò di bocca in bocca e i fornai genovesi presero a cucinare farina di ceci mescolata ad olio nei forni a legna. Nacque così la farinata, chiamata anche “l’oro di Pisa” per deridere i pisani.

Un altro falso

Origine eroica dunque, anche poiché la battaglia della Meloria decretò il dominio genovese nell’Alto Tirreno, ma falsa. Eppure questo falso storico si trova ancora accreditato in molti testi, forse perché spiega facilmente una pietanza “estranea” in apparenza alla cucina italiana. In realtà di “farinate” ne esistono diversi tipi, fatte con granaglie o legumi diversi, persino con le castagne.

La farina di ceci cotta in testi è oggi uno street food di successo, che è stato povero in origine, quando si consumava semiliquida in minestra, con poco olio, in alternativa alle più costose pietanze a base di frumento, come testimoniano delle fonti scritte ottocentesche. Un rimedio antifame che nel corso dei secoli è diventato un cibo da passeggio appetitoso e charmant. Oggi è uno dei vessilli appunto della cucina genovese, dove le antiche sciamadde, localini con forni a legna, lo propongono insieme alle tante torte salate della tradizione gastronomica ligure. Ma anche in questo caso bisogna specificare che la farinata non è solo ligure, anzi!

Cibo identitario sì, ma di più posti contemporaneamente

Al giorno d’oggi la farinata di ceci è infatti cibo identitario in Provenza, dove è chiamata socca, in Piemonte, a Nizza Monferrato e dintorni, chiamata belecauda, sino a Pisa, dove è definita cecina; è altresì tradizione nelle Isole maggiori, nel Sassarese, nota come fainè, semplice o condita con funghi, salsiccia o cipolle. Il consumo della farinata a Sassari, che la tradizione vuole medievale ma in realtà risale a fine Ottocento con l’arrivo di alcuni imprenditori genovesi, è ancora una specie di rito, e i locali che la propongono d’inverno fanno il tutto esaurito. Infine è tradizionale e identitaria in Sicilia, celebrata con le sue gustose panelle, cibo da passeggio soprattutto a Palermo e dintorni.

Alessandra Guigonidi Alessandra Guigoni   
I più recenti
Patatine fritte e snack simili: il piacere e grande, ma ci sono rischi (Shutterstock)
Patatine fritte e snack simili: il piacere e grande, ma ci sono rischi (Shutterstock)
Alcune variazioni dei Crumbl Cookies (da Shutterstock)
Alcune variazioni dei Crumbl Cookies (da Shutterstock)
Cremino Bauli (a sinistra, uno dei prodotti ritirati) e la gioia dei dolci di natale (Shutterstock)
Cremino Bauli (a sinistra, uno dei prodotti ritirati) e la gioia dei dolci di natale (Shutterstock)
Una fetta tira l'altra, con attorno il calore degli amici e delle persone care (Shutterstock)
Una fetta tira l'altra, con attorno il calore degli amici e delle persone care (Shutterstock)
Le Rubriche

Cristiano Sanna Martini

In redazione a TiscaliNews dal 2000 si occupa di Attualità, Cultura è Spettacoli...

Vittorio Ferla

Vittorio Ferla, giornalista, co-fondatore di GnamGlam, associazione e magazine...

Alessandra Guigoni

Dottore di ricerca in antropologia culturale. Specializzata in culture...

Francesco Saverio Russo

Francesco Saverio Russo, wine blogger e wine educator è creatore di Wine Blog...

Manuela Vacca

Viaggiatrice e sommelier, come giornalista ha spaziato in ogni settore, inclusa...

Antonio Maria Guerra

Antonio Maria Guerra, food & wine writer, cuoco ("... che bella parola!") e...