I veleni che beviamo: "Latte materno e acqua potabile contaminati dai Pfas". Disastro e processo in Italia
I composti chimici usati per padelle antiaderenti, carta forno, alcuni cosmetici, farmaci e indumenti sono dannosi per il feto e gli adulti. Il caso veneto e lo studio Usa
Pfas: sono le pellicole resistenti all'acqua, grassi, agenti chimici e calore che riempiono gli oggetti della nostra vita. Dalle padelle antiaderenti alla carta forno, fino a vari cosmetici e farmaci e perfino abiti impermeabili. Da tempo si parla della pericolosità dei loro residui ritenuti pericolosi per lo sviluppo dell'embrione e del feto, per l'apparato endocrino e ormonale umano. Il pericolo esiste anche per gli adulti, perché la contaminazione da Pfas aumenta la probabilità di sviluppare tumori e di intossicarsi. E si moltiplicano gli studi. Uno dei più recenti (qui consultabile il documento originale) proveniente dagli Usa e pubblicato da un team di ricercatori su Environmental Science & Technology/Asc, una delle riviste scientifiche più autorevoli e citate, prova un aumento della contaminazione da Pfas in tutti i campioni di latte materno esaminati. E avanza l'ipotesi di una nuova tendenza al rialzo generale, negli Stati Uniti come pure nei Paesi in cui sono di largo uso i prodotti realizzati con questi trattamenti chimici. Come vedremo, la questione ha rilevanza in Italia.
Più di 50 anni per smaltirli
Nei campioni di latte materno sono stati trovati residui di contaminazione chimica di 16 composti diversi. Giusto per capire in breve la preoccupazione dei ricercatori che hanno svolto lo studio, basta citare il loro commento secondo cui "non dovremmo trovare nessuna traccia di Pfas nel latte delle mamme". Siamo lontani dalla situazione ideale e anzi, la tendenza è purtroppo al rialzo. Questo studio stima che al corpo umano e in particolare ai nostri reni servano fino a più di 50 anni per smaltire le tracce di Pfas. Perché ci occupiamo di quanto messo in evidenza da uno studio made in Usa? Perché quell'allerta scientifica arriva mentre in Italia si attende a luglio l'apertura di un processo per i gravi casi di inquinamento da Pfas nell'acqua, in particolare nell'area veneta poi ribattezzata "zona rossa" e non certo per ragioni di Covid-19.
L'acqua potabile contaminata
E' del 2013 l'esplosione del caso italiano della Miteni, azienda chimica del Vicentino che si scoprì (qui il report completo) aver diffuso Pfas nel territorio, inquinando in modo grave l'ambiente e l'acqua potabile. A seguito dell'inchiesta, è attesa l'apertura del processo a luglio, le ipotesi di reato avvelenamento di acque, inquinamento ambientale e disastro. Particolarmente elevato l'inquinamento dell'acqua nelle province di Padova, Verona e Vicenza. Tanto che è al momento si sta costruendo un acquedotto lungo 22 chilometri che porterà acqua sana da bere alle popolazioni del Padovano e del Vicentino. Il lato buono della questione è che a seguito di questo allarme e di altri simili in Paesi di area Ue e oltre, l'Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare) ha stabilito il limite di 4,4 nanogrammi per chilogrammo di peso corporeo alla settimana. Questo ha avuto effetti positivi a ricaduta fino ai casi locali come quello veneto. Dove si è tutt'altro che fuori pericolo ma sono stati fatti diversi passi avanti (vedi qui i dettagli) a partire dal 2013. La Regione Veneto ha preso provvedimenti per individuare l’area di contaminazione e la principale fonte responsabile (che si è rivelata essere l'azienda Miteni, poi fallita per le conseguenze economiche dell'inquinamento provocato), mettere in sicurezza la distribuzione dell’acqua potabile ed avviare la mappatura ed il controllo dei pozzi privati. Inoltre è cominciato il monitoraggio degli alimenti, parallelamente a un programma di screening dei soggetti esposti ai Pfas.