Addio a Benanti. Altro che "farmacista": l'inventore di un vino che sembrava impossibile
Dalla piccola impresa farma all'idea di produrre un'eccellenza che mancava, dove nessuno avrebbe pensato. Se ne va un grande personaggio. Il ritratto

Con la scomparsa nei giorni scorsi di Giuseppe Benanti, l’Etna perde una figura colossale per lo sviluppo della viticoltura della zona e per l’affermazione internazionale dei suoi vini. Il mio ricordo più nitido di Benanti risale al 2016, l’anno in cui morì Giacomo Tachis, celeberrimo enologo piemontese, per più di trent’anni consulente di Antinori. Proprio nell’aprile di quell’anno, l’Enoteca regionale della Sicilia orientale ospitò nel Castello di Lauria, a Castiglione di Sicilia, un evento dedicato alle sperimentazioni etnee di Tachis sul Pinot Nero.
Tra i relatori c’era anche Giuseppe Benanti, in virtù della sua storia di sperimentatore, affascinato anch’egli dall’idea di allevare il Pinot Nero nel contesto vulcanico. Proprio le cantine Benanti e Siciliano furono le prime interessate dalle sperimentazioni di Tachis: ancora oggi la cantina Siciliano produce il RossoEuphoria, un Pinot Nero molto interessante.
Ritratto di un personaggio speciale
In quella occasione, come sempre gli accadeva, Benanti sfoggiò la sua eleganza e la sua cultura, l’amore per l’Etna e per il vino di eccellenza. I suoi modi erano sempre avvolti da un alone di grande fascino e savoir faire, manifestazione potente di una personalità brillante e istrionica. Ma non si trattava di sola forma esteriore. Benanti ha espresso la sostanza umana, culturale e imprenditoriale tipica dei grandi precursori: grazie a questo può essere considerato oggi, da un lato, il padre della viticoltura etnea, dall’altro, il primo imprenditore capace di raccontare l’Etna a livello internazionale.
I ricordi del figlio
“La nostra è una storia originale: l’attività di mio padre era soprattutto in campo farmaceutico”. Così esordì Antonio Benanti, figlio di Giuseppe, quando andai a trovarlo nella sede della cantina a Viagrande, nel luglio del 2016. “Alla fine dell’Ottocento, il bisnonno Giuseppe possedeva dei vigneti a Viagrande: un classico esempio di piccolo proprietario terriero della zona, come ce ne sono migliaia. Mio nonno è il primo che si laurea in famiglia: trascura la campagna, ma non la vende. Studia oculistica e oftalmologia. Diventa farmacista, uno dei primi a Catania, infatti la sua farmacia aveva matricola 11! È un fenomeno generale: la generazione di mio nonno trascura l’attività di campagna almeno fino agli anni ’70. Prevale l’impegno per l’azienda farmaceutica oftalmica. Mio padre Giuseppe si laurea in Farmacia. Da bambino, però, faceva la vendemmia e trascorreva il tempo con il nonno. La fiammella della viticultura era rimasta accesa, sebbene l’attività principale fosse quella farmaceutica, prima in Italia, poi anche all’estero”. La svolta avviene nel 1988.
Ritorno alle radici e all'infanzia
Antonio - che è stato presidente del Consorzio dell’Etna dal 2018 al 2022 - la racconta così. “Mio padre si trovava al Circolo del golf di Castiglione, Il Picciolo, a pranzo con Francesco Micale, un amico medico. Chiedono del vino. Ma il vino dell’Etna non è nella carta. ‘Possibile che non si possa fare nulla di meglio? Con la storia che abbiamo?’, si chiese mio padre che, nel corso della sua attività lavorativa, aveva viaggiato tanto e bevuto bene. ‘Se io conoscessi un buon enologo – disse – proverei a fare del vino!’ Aveva raggiunto dei successi, aveva disponibilità economiche e voglia di novità. L’amico medico gli rispose: ‘conosco un enologo catanese che lavora per altri in Sicilia’. Si può dire che l’azienda vitivinicola Benanti nasca lì”.
Come comincia un trionfo
L’enologo catanese citato è Salvo Foti, un personaggio destinato a diventare in quegli anni un punto di riferimento per tutto il movimento del vino dell’Etna, nonché custode di una cultura contadina secolare: un vero e proprio guru della viticoltura etnea, soprattutto quella tradizionale ad alberello. Raggiunto dal farmacista Benanti, Foti risponde così: “Non so esattamente come si fa, ma il potenziale è enorme”. “Il vino l’avevamo fatto sempre nel Palmento – spiega Antonio – seguendo le tecniche tradizionali. Nessuno aveva fatto eccellenza sull’Etna. Salvo Foti faceva consulenze con ben altre cantine e qui trova un signore con disponibilità, carattere, energia e voglia di cominciare. Un signore che non si accontentava: ‘Non può essere questo l’Etna’. Appunto”.
La squadra vincente
E così, Giuseppe Benanti chiama un gruppo di consulenti: Rocco di Stefano dell’Istituto di Enologia di Asti, Jean Siegrist, professore di Enologia all’Università di Beaune in Borgogna, gli esperti piemontesi Monchiero e Negro direttamente dalle Langhe. In pratica, “riunisce sull’Etna le eccellenze del vino – racconta Antonio. Aveva entusiasmo, esperienza, radici. Ma non poteva fare riferimento a nessuno a livello locale: nessuno allora ci puntava. Il gruppo di lavoro fa una selezione di territori sull’Etna. All’epoca sull’Etna si trovavano sia varietà autoctone (Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio e Carricante) che alloctone: l’obiettivo di mio padre era quello di scoprire e svelare il potenziale delle varietà autoctone e delle diverse zone vocate. Realizza diverse prove di microvinificazione per cogliere il potenziale di queste uve. Si fanno confronti. Per esempio, il Carricante cresce bene sul versante Est del vulcano fino a Sud Ovest. È una varietà più fragile, ha bisogno di buona illuminazione. Si capisce che bisogna puntare a Nord – Castiglione – per i rossi. E a Milo per i bianchi. I terreni di Viagrande si aggiungono nel 1998. La tenuta di Monte Serra apparteneva a dei parenti di mia madre. Papà si innamorò di questo posto e nel tempo è riuscito a riunire i diversi proprietari e ad acquistarlo”.
Anni Novanta: il decollo definitivo
Monte Serra rappresenta uno dei poli dell’azienda. Il polo più antico è a Castiglione: infatti, il nome originario dell’azienda, almeno fino al 1994, è Tenuta di Castiglione. L’altro polo è a Milo, versante Est del vulcano. L’ultimo polo si trova a Contrada Cavaliere, a Santa Maria di Licodia, nella zona sudovest dell’Etna.
“Il primo imbottigliamento risale al ’90: è l’annata spartiacque. Da quel momento si cerca di lavorare su un prodotto di eccellenza, ma i vini non si commercializzano subito. L’esordio sul palcoscenico del Vinitaly è del ’93: a Verona si presentano il Rovittello, rosso, e il Pietra Marina, bianco”. Quest’ultimo diventerà un vino ‘icona’, esaltato dalla critica enologica americana e internazionale e acquistato dai cultori del vino di tutto il mondo. Pietra Marina, così, non è soltanto soltanto il biglietto da visita della vitivinicola Benanti, ma di tutta la viticultura dell’Etna.
Far scoprire un intero territorio
Alla fine di questo lavoro, Giuseppe Benanti ha in mano un ampio materiale conoscitivo dal quale derivano prodotti di altissima qualità. Una qualità omogenea dei vini conquistata dopo un lavoro di avanguardia. Gli anni ’90 sono pionieristici. L’attenzione di oggi per le contrade dell’Etna non esisteva nemmeno lontanamente. Non c’era ancora Internet: per 10 anni l’azienda si fa conoscere grazie al passaparola e alle recensioni. Per Benanti, uomo impaziente, amabile, attraente e visionario, il mondo della farmaceutica era noioso. Viceversa, in quello del vino, avrebbe trovato lo spazio più giusto per esprimere la sua personalità estroversa. Nel 2007, la cantina Benanti è nominata Cantina dell’anno dal Gambero rosso, quando il responsabile era Daniele Cernilli. Oggi l’azienda, guidata dai fratelli Antonio e Salvino, produce 170 mila bottiglie e continua a rappresentare il fiore all’occhiello della viticoltura etnea. Certo, possiamo dire che altri, dopo Giuseppe Benanti, hanno ‘scoperto’ l’Etna, trasformandola in una star del vino a livello globale. Ma certamente Giuseppe Benanti resterà per sempre colui che l’ha ‘inventata’.