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Vino in cartone, fiere in agonia per il Covid, bollicine anti virus: è iniziata la Slow Wine Revolution

Grandi denominazioni e sfuso d’autore al tempo della pandemia, il ritrovato gusto degli abbinamenti, e ora qual è il futuro del vino globe-trotter?

Tiziano Gaiadi Tiziano Gaia   
Prosecco, neanche la pandemia lo scalfice. Al centro: Giancarlo Gariglio. A destra: una bag in box
Prosecco, neanche la pandemia lo scalfice. Al centro: Giancarlo Gariglio. A destra: una bag in box

Tra le guide nazionali, Slow Wine è una delle ultime nate (quella del 2021 è l’undicesima edizione), ma la giovane età non deve ingannare. Alle sue spalle, infatti, soffia forte l’ispirazione della casa madre, Slow Food, il movimento fondato da Carlin Petrini negli anni Ottanta, in reazione al dilagante fenomeno del fast food e del cibo industriale. Da Slow Food, la guida ha ereditato il taglio sottilmente provocatorio e quella propensione al rilancio, che porta ad alzare continuamente l’asticella degli obiettivi e delle proposte, perché ad alzarsi di livello sono, in parallelo, le sfide etiche, ambientali ed economiche che ci attendono al varco.

Così Carlo Petrini e Gigi Piumatti (storico curatore della guida Vini d’Italia fino al 2008) introducevano la prima edizione, nel 2010: «Arriviamo a Slow Wine dopo quattro edizioni di Terra Madre, con la costruzione di una rete che ha portato molto in avanti il pensiero e l’azione di Slow Food rispetto agli esordi. Da queste esperienze è nata una guida che al proprio centro non ha solo la bontà dei vini, ma che parla di chi li realizza e di come vengono prodotti, di vigneti e di suoli, di naturalità e di agronomia, di vitigni e di metodi di coltivazione, di un futuro sostenibile».

Giancarlo Gariglio ha raccolto il testimone da Piumatti e ha curato Slow Wine fin dalla sua nascita, contribuendo alla messa a punto del nuovo format editoriale e del complesso metodo di lavoro, basato su una macchina organizzativa enorme. Consapevole del ruolo, ha impresso alla guida la propria personalità e la propria visione del vino, distaccandosi sia dall’anacronistica immagine sacerdotale dei degustatori della prima èra, sia dalla funzione di mero assaggiatore e compilatore di schede, come vorrebbe una certa scuola di pensiero enologico votata alla presunta “oggettività” di giudizio. Gariglio, inoltre, ha appena presentato il Manifesto del vino buono, pulito e giusto, al quale hanno aderito vigneron da ogni angolo del globo. Dunque, se qualcosa si muove sotto il cielo della viticoltura italiana e internazionale, a qualsiasi livello, è certo che prima o poi passi al suo vaglio (di solito, più prima che poi).

Salve Giancarlo, grazie per accettato questa intervista. Partiamo, com’è naturale, dall’emergenza che stiamo vivendo. Nell’ultimo anno è successo l’impensabile. Anche il settore del vino è stato travolto dallo tsunami del virus e dagli stravolgimenti che ha comportato per le nostre vite e le nostre abitudini. Qual è la prima immagine che ti viene in mente, pensando al rapporto vino-pandemia?

“L’immagine di un supermercato! Non mi sarei mai aspettato di dire una cosa simile, ma è la verità. La grande distribuzione ha tenuto in piedi il mercato del vino nei mesi più duri del lockdown, e in parte continua a farlo ora. Le conseguenze sono ovvie: è calato il prezzo medio delle bottiglie acquistate, c’è stato un revival del cosiddetto vino quotidiano e alcune denominazione hanno sofferto parecchio la nuova situazione, mentre altre se ne sono avvantaggiate. Un bello stravolgimento, non c’è dubbio”.

Slow Wine: la guida nata per non somigliare a nessun'altra

Duraturo, o addirittura definitivo, secondo te?
“Dipende da quanto si protrarrà l’emergenza, che di certo è già durata più di quanto ci aspettassimo. La mia sensazione è che le persone abbiano una gran voglia di tirare una linea sopra tutto ciò che hanno vissuto in questi mesi, e tornare alla vita di prima. Tradotto in tipologie di vino, credo che si stapperanno parecchie bollicine”.

Le bollicine, già. Secondo le analisi, è la categoria enologica che ha patito di più.
“Per forza, associate come sono alla festa e alla socialità. Ti do un dato: lo scorso anno le vendite dello Champagne sono crollate del 25%. Parliamo di 100 milioni di bottiglie in meno. Costo medio elevato, contesto sociale trasformato, ristoranti chiusi, ha giocato tutto a suo sfavore. Per fortuna, non a tutti gli spumanti è toccata la stessa sorte”.

Qualche esempio?
“Per rimanere in casa nostra, il Prosecco sta tenendo bene. Questo vino ormai è un fenomeno sociologico, un caso di studio. Al di là delle infinite sfumature presenti nella sua galassia, non c’è dubbio che, a livello di percezione collettiva, si sia ritagliato l’immagine della bollicina quotidiana. Costa poco, si trova ovunque ed è versatile. Il Prosecco è stato il compagno perfetto per gli italiani che, pur confinati in casa (o proprio per reazione alla situazione), non hanno voluto rinunciare ad aperitivi e cocktail”.

A proposito di aperitivi, un altro aspetto della nostra nuova quotidianità pare essere la riscoperta della cucina casalinga, delle ricette fai-da-te, insomma, del piacere di stare ai fornelli.
“Un po’ per piacere, un po’ per necessità (ride). Aggiungo un dettaglio: la riscoperta degli abbinamenti. Noi degustatori siamo visti come i maestri dell’abbinamento vino-cibo. Qualche volta, in passato, abbiamo esagerato. Personalmente, sono molto rilassato su questo aspetto, basta vedere quanto spazio dedichiamo al tema sulla nostra guida: pochissimo. Però, complici la curiosità e il maggior tempo a disposizione, ho notato, dai racconti di amici e conoscenti, una ritrovata sensibilità verso l’argomento. Credo sia stato un processo naturale, che poggia su un dato di fatto incontestabile: i nostri vini nascono per la tavola e si esaltano nella tradizione della grande cucina italiana”.

Grande cucina da un lato, vino nel bag in box dall’altro. Una contraddizione?
“Non penso. Il ricorso massiccio al bag in box (approfondito anche qui da FoodCulture) è un’altra delle conseguenze delle mutate condizioni di approvvigionamento e consumo di vino, oltre che del ridotto potere d’acquisto di molti. Detto questo, l’equazione “bottiglia=vino di qualità”, “cartone=prodotto mediocre” si era già incrinata prima della pandemia. Parliamoci chiaro: lo “sfuso d’autore” esiste. È stato sdoganato da aziende vitivinicole importanti ed è stato cavalcato, sposato da start-up di vendita e distribuzione on-line, che hanno superato il cliché del vino da sagra di paese o da bottiglieria di basso livello. Progetti come Sfusobuono, tanto per fare un esempio, consentono di ordinare comodamente da casa il tuo cartone di vino preferito o adatto all’occasione, scegliendo tra una gamma variegata di prodotti, selezionati con professionalità e cura. L’aspetto è giovanile e pop, il che non guasta. Non è come acquistare il vino in cantina, certo, ma la distanza è meno siderale di quanto si pensi. E non chiamiamola “enologia di emergenza”, perché il fenomeno non si sgonfierà”.

Torniamo per un attimo alle denominazioni che stanno soffrendo di più in questo delicato momento. Qual è il quadro generale?
“È difficile dare un’indicazione univoca, perché sui grandi vini pesano sempre anche l’esito dell’annata e altri fattori esterni, capaci di incidere persino di fronte a una pandemia. Prendiamo il Brunello di Montalcino: uscire oggi sul mercato con un’accoppiata d’assi, come le vendemmie 2015 (Riserva, N.d.A.) e 2016, osannate dalla critica mondiale, fa dormire ai produttori sonni ben più tranquilli rispetto all’avere in commercio millesimi “normali”. Infatti, la denominazione è al top per quotazioni, numeri, immagine, e di conseguenza le cantine sono pressoché vuote. Con o senza coronavirus. Barolo, l’altra punta di diamante dell’enologia nazionale, vive una fase diversa, dovuta anche a un posizionamento di mercato non sempre ben definito. Da una parte è il “re dei vini”, dall’altra si trova sugli scaffali dei supermercati a prezzi oggettivamente molto bassi. Di nuovo, sono dinamiche che vanno oltre la pandemia. Ma vorrei introdurre un ragionamento diverso. Oggi abbiamo una classe sociale media a cui corrisponde una “classe enologica media”. A livello mediatico, fanno più notizia i vini stellari oppure quelli svenduti per pochi euro, lo so bene. Ma è la fascia intermedia che fa massa. È nel mezzo che batte il cuore della viticoltura italiana. Lì si incontrano le possibilità della fetta maggioritaria di popolazione e il grosso dei vini prodotti oggi in Italia”.

Cambiamo argomento, anche se sarebbe interessante approfondire questi temi sociali ed economici. Ti chiedo a bruciapelo: che ne sarà delle fiere internazionali? E delle continue trasferte all’estero dei nostri produttori?
Vinitaly 2021 è appena stato annullato. L’orizzonte, per i grandi appuntamenti pubblici, è il 2022, non si scappa. Qualche consorzio sta provando a introdurre nel mondo delle degustazioni il modello della “bolla”, in stile NBA o Australian Open, staremo a vedere. Se la tua domanda sottintende l’eventualità, oltre che di uno spostamento di data, anche di un cambio di modalità di svolgimento, non ho la risposta. Ma non mi aspetterei grandi rivoluzioni, sono sincero. Quanto ai frequenti viaggi dei produttori all’estero, fatti per marcare stretto i mercati internazionali, qualcosa cambierà di sicuro. I vignaioli hanno notato che possono vendere anche rimanendo a casa. L’America non ha bisogno di loro tutte le settimane. Decidere, il lunedì, di essere a New York il venerdì, era quasi diventata una regola: non sarà più così. La bulimia di aerei e alberghi finirà, ci si organizzerà meglio, compattando gli appuntamenti e dando più valore al lavoro dei distributori e dei rappresentanti in loco, e si risparmierà un sacco di soldi. I produttori lo hanno già capito.

Mi pare che il vino sia l’unico prodotto alimentare che può permettersi di buon grado di derogare alla regola, divenuta “aurea”, del chilometro zero. Tante bottiglie che viaggiano per il mondo, spesso in compagnia dei loro creatori, non rischiano di rendere il “gioco” poco sostenibile? Qual è la posizione di Slow Wine al riguardo? E quella di Slow Food?
Il tema è delicato e complesso. Far girare un gran numero di bottiglie da un continente all’altro non può essere considerato sostenibile e non è di certo coerente con ciò che Slow Food predica da anni. Sarebbe ipocrita affermare il contrario, o, peggio ancora, far finta di niente e sorvolare sul problema. Noi lo siamo affrontando, infatti. Stiamo promuovendo campagne per un packaging meno impattante, penso soprattutto allo spessore, dunque al peso, del vetro delle bottiglie, che si ripercuote su tutta la catena logistica. Il mondo della produzione e distribuzione non è insensibile all’argomento. Insieme, stiamo cercando di migliorare le cose. Ma su un altro punto vorrei essere chiaro. Il vino ha sempre viaggiato da un paese all’altro. Tra vino e commercio esiste un legame nelle origini. Alcune tipologie devono la loro stessa nascita all’esistenza di un mercato internazionale. Gli inglesi e la loro flotta, nei secoli scorsi, hanno avuto un ruolo chiave nello sviluppo di una certa idea moderna di vino e di enologia. Pensiamo al Porto, al Marsala o allo stesso Champagne: sono vini che hanno il viaggio nelle vene. Qui non parliamo di banane. Non abbiamo un prodotto che si deteriora, e che, se vogliamo consumare lontano dal luogo di produzione, dobbiamo stravolgere nella sua essenza, raccogliendolo verde e facendolo maturare durante il trasporto. Senza contare che il nostro vino è “tanto”, non possiamo mica bercelo tutto noi! Ma se da un lato ne produciamo troppo per la nostra capacità di consumo o di acquisto, dall’altro non è accettabile a cuor leggero l’opzione di ridurre la produzione. Non dimentichiamoci mai che la vite, specie in alcune zone marginali del nostro paese, è vita. È lavoro, salvaguardia del territorio, tradizione, comunità. In una parola, è ambiente. Quindi, pur con tutti gli accorgimenti e le migliorie da intraprendere, ben venga una bottiglia che parte da un piccolo paese per raggiungere una tavola americana, se questo aiuta una terra a non spopolarsi e a non cedere al dissesto idrogeologico.

Gariglio, curatore di "Slow Wine"

(Nella seconda parte parleremo, insieme a Gariglio, delle novità previste dalla nuova edizione di Slow Wine e dell’evoluzione storica delle guide, da “serbatoi” di premi e punteggi a fondamenta per una nuova alleanza tra produttori e consumatori)

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