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[L'intervista] Il rum dei due oceani: l'oro liquido della famiglia italiana tra le meraviglie di Panama

Viaggio dall'altra parte del pianeta, e ritratto di Nino "Juan" Cermelli. Da Alessandria alla scoperta del Paese centroamericano e l'inizio di una produzione di prestigio

Tiziano Gaiadi Tiziano Gaia   
Tra natura e modernità, uno scorcio di Panama City. A destra: Nino Cermelli e il suo rum
Tra natura e modernità, uno scorcio di Panama City. A destra: Nino Cermelli e il suo rum

Con un po’ di fantasia, la forma e la posizione di Panama ricordano un dettaglio della Creazione di Adamo, affrescata da Michelangelo all’interno della Cappella Sistina. L’immagine è celeberrima: al centro della volta, l’indice alzato dell’Eterno e quello del primo uomo si sfiorano, mentre il gran volume dei corpi si distende sui due lati. Pensiamo ora all’istmo di Panama. Giusto lì, al centro della carta geografica, si incontrano gli indici di Nord e Sud America. E anche in questo caso, le dita si sfiorano, ma non si toccano, proprio come nel capolavoro michelangiolesco. Dal 1914, il Canale, una delle opere d’ingegneria più strabilianti di ogni tempo, separa di un soffio ciò che prima era unito – il gran volume di due continenti – e unisce ciò che prima era separato, gli oceani Atlantico e Pacifico.

Il piccolo tesoro di "Juan" Cermelli

Un luogo unico al mondo, Panama. Avvistato da Colombo nel 1502, è rimasto sotto la dominazione spagnola fino al 1821, per poi fare parte della Grande Colombia di Simòn Bolìvar. Nel 1903 arriva l’indipendenza dalla Colombia. Da quel momento, la piccola Panama (75.000 kmq, un quarto dell’Italia) ha dovuto vedersela con il gigante statunitense, kingmaker della regione e, soprattutto, azionista di maggioranza del redditizio Canale per tutto il XX secolo. Tradizionale crocevia di uomini e merci da ogni angolo del globo, Panama vanta una dinamica comunità di italiani, all’interno della quale spicca, per profondità di radicamento e notorietà, la famiglia Cermelli.

Via zoom raggiungiamo Giovannino, esponente della quarta generazione. Sessantaquattro anni, ingegnere, dopo una vita nell’import-export, Nino, o Juan, com’è conosciuto a Panama, ha deciso di dedicarsi alla produzione di rum ed è uscito da poco sul mercato con un prodotto di nicchia, subito molto apprezzato per la sua pregiata qualità.

Nino, ci racconta innanzitutto come nasce il legame della sua famiglia con Panama?
"Nel 1881 il mio bisnonno, Stefano Cermelli, originario della provincia di Alessandria, transitò per Panama di ritorno da un viaggio in Perù. In attesa della nave che lo avrebbe riportato in Italia, ebbe modo di conoscere alcuni emigrati italiani, che possedevano un locale sfitto nel cuore della città. Lui era un giovane farmacista e vide l’opportunità di avviarvi un’attività. E così fu: la sua diventò la seconda farmacia aperta a Panama. Il paese viveva allora una fase di forte sviluppo, era attraversato dalla prima ferrovia transcontinentale, la Panama Railway, ed era in fermento per l’inizio dei lavori di costruzione del Canale. Le fotografie dell’epoca restituiscono un sapore di frontiera, sono immagini di pionieri, viaggiatori, destini che si incrociano poco sotto il tropico del Cancro.

Gli inizi dell'attività della famiglia Cermelli a Panama

Il suo bisnonno rimase per sempre a Panama?
"No. In un certo senso, faceva il “pendolare” tra Panama e l’Italia. Durante uno dei suoi periodici ritorni in Piemonte, conobbe la nipote del tale da cui affittava i locali della farmacia. Era una ragazza di Domodossola: diventerà la signora Cermelli, la mia bisnonna. Mio nonno, Nino, da cui ho preso il nome, nacque a Panama nel 1896. In famiglia si tramanda il ricordo della memorabile traversata oceanica che il padre fece, solo con lui, di appena quattro anni, per andare a Torino a visitare l’esposizione internazionale del 1900. Nel 1906 tutta la famiglia tornò e si stabilì definitivamente nel capoluogo piemontese. Di lì in avanti, succede una cosa curiosa…".

Sarebbe?
"A generazioni alterne, e senza farlo apposta, i Cermelli nascono a Panama oppure in Italia: mio nonno, come ho detto, è nato a Panama, mio padre, Stefano (stesso nome del bisnonno), in Italia; io sono nato a Panama, le mie figlie a Torino; le nipoti di mio fratello, ovvero la sesta generazione, sono nate, indovini un po’, a Panama! (Ride). Col tempo, la nostra famiglia si è fatta conoscere e apprezzare nella sua nuova patria di adozione, dedicandosi a diverse attività, tra cui l’istruzione e la divulgazione della lingua e della cultura italiana, e trovando un equilibrio in termini di “identità”, ossia tra il nostro essere italiani e allo stesso tempo panamensi". 

Ci parli un po’ di Panama. Ho avuto la fortuna di esserci stato e sono stato colpito dal forte contrasto tra la capitale, moderna e scintillante di grattacieli, sullo sfondo del Canale, e una natura lussureggiante, appena fuori città. E poi, questo affaccio sui due oceani, strabiliante.
"Panama è come un pizzicotto di terra tra i due oceani, che in quel punto distano solo 80 chilometri. La costa pacifica è continuamente sbatacchiata dalle grandi maree, quella atlantica è più tranquilla e corrisponde all’immagine caraibica. Penso soprattutto all’arcipelago San Blas, 365 atollini, uno per ogni giorno dell’anno, ancora abitati dai Kuna e simili alle isolette delle vignette, giusto un rialzo di sabbia con la palma al centro. Sui vecchi passaporti panamensi c’era scritto: Puente del mundo, Corazόn del Universo. La prima parte è senz’altro vera, sulla seconda c’è un po’ di enfasi (ride). Il Canale stesso è un ponte, anche se di acqua. Le navi prima salgono e poi scendono, attraverso un complicato sistema di chiuse, per superare il dislivello tra l’Atlantico e il Pacifico. Panama, piccola e povera di materie prime, deve tutto alla sua posizione geografica". 

Cosa che, come sempre accade, può causare tensioni…
"Pensiamo solo alla presenza prolungata degli statunitensi sul territorio panamense. Gli Usa amministravano la cosiddetta “Zona del Canale” come se fosse uno stato nello stato: la legge era quella americana, i tribunali erano americani… I soldati, a un certo punto sono stati 50.000, uscivano dalle loro basi per venire in città a fare festa, proprio come si vede nei film. La convivenza non è stata sempre facile, Panama ricorda ancora oggi alcuni episodi cruenti. Nel 1979 il Canale è passato sotto la gestione congiunta, e dal 1° gennaio 2000 è tornato panamense a tutti gli effetti. Gli americani hanno smobilitato". 

Il paesaggio attorno al canale di Panama

Una storia molto affascinante, che andava almeno accennata. Grazie per averlo fatto così efficacemente. Ora veniamo al rum.
"Il mio rum non ha nulla a che vedere con queste vicende movimentate, è semplicemente un tributo ai miei avi e al nostro ormai secolare rapporto con Panama. Un paio di anni fa mi sono detto che era giunto il momento di sancire questo legame, volevo far conoscere Panama all’Italia, e magari al resto del mondo, attraverso una produzione di eccellenza, che fosse legata alla terra, al clima e al popolo di questo paese. Il rum mi è sembrato un bel simbolo".

Ha citato la terra e il clima. Sono fattori che siamo abituati a pensare indispensabili per il vino. Hanno influenza anche sul rum?
"Il rum è l’acquavite ottenuta dalla distillazione della melassa della canna da zucchero. Il concetto di terroir, tanto caro agli amanti del vino, non può essere applicato pari pari ai distillati, perché, alla base di questi ultimi, vi è un processo produttivo teso più a trasformare che a mantenere gli elementi della materia prima di partenza. E poi stiamo parlando di canna da zucchero, non di uva e di vitigni! La terra, dunque, non influisce in modo significativo sul risultato finale. Il clima, invece, ha la sua importanza, secondo me".

Il famoso alito di vento, o “respiro degli oceani”, che si sente nel Don Esteban 1881...
"Mi fa piacere che venga fatta notare spesso questa nota del mio rum. Sono convinto che la “mia” canna zucchero, che cresce su quell’esile lingua di terra alla mercé di ben due oceani, assorba il vento, la salsedine, l’umidità, il calore, gli scrosci di pioggia e tutti i profumi e gli aromi che scavalcano l’istmo incessantemente. Non mi stupisce che, in qualche modo, tutto questo si traduca in note e sensazioni avvertibili a livello organolettico". 

Confermo. È come se l’Atlantico e il Pacifico, accarezzando, o meglio, sferzando quelle piante, vi imprimessero un marchio, un contrassegno, che poi passa nel rum. Il Don Esteban 1881, per esempio, ha un chiaro sottofondo salino che può essere riconducibile solo alla posizione dei terreni.
"Mi piace però sempre ricondurre il discorso all’elemento umano. Nel rum, in particolare, è fondamentale il ruolo del maestro ronero. Senza la sua esperienza e la sua sensibilità, non sarebbe possibile imbrigliare le forze della natura, per quanto imponenti".

L'oro locale: canna da zucchero

E' una figura quasi leggendaria, infatti. Ma qual è il suo ruolo, esattamente?
"Il maestro ronero sovrintende al delicato processo di invecchiamento del rum. Il Don Esteban 1881 affina prevalentemente in botti di rovere americano destinate, in precedenza, al bourbon. Ma l’origine dei legni è variabile, così come il loro contenuto precedente. Il maestro ronero combina i vari tipi di legno, assaggia e riassaggia, crea il blend del rum, ossia mescola botti e “annate” diverse, fino a trovare quel magico equilibrio che, messo a punto una volta, dovrà essere in grado di replicare sempre. Mi considero molto fortunato: col mio maestro ronero, un cubano trapiantato a Panama da molti anni, la sintonia è totale. Ha capito che tipo di rum stavo cercando, e mi ha aiutato a produrlo". 

E' il momento di qualche consiglio. In Italia il rum si sta affermando, con locali dedicati, rivenditori specializzati, corsi e pubblicazioni. Però non possiamo definirci un popolo di esperti. Dunque, come si beve il rum? A quale temperatura, in quali bicchieri? Con che cosa si abbina? Ghiaccio sì, ghiaccio no…?
"Un rum di qualità si sorseggia in purezza. Niente cocktail, in altre parole. La temperatura ideale è 18-20°C, non oltre, per tenere a bada l’impronta alcolica. Il bicchiere giusto è quello detto, non a caso, “da rum”, molto panciuto. Lo si fa roteare, così da amalgamare tutte le componenti aromatiche e poter apprezzare in pieno le sfumature cangianti del colore, che sono una parte non secondaria dello “spettacolo”. Non annusare subito: l’alcol, che inizialmente troneggia su ogni altra sensazione, impiega alcuni istanti a smorzarsi. Trascorso qualche secondo, si possono apprezzare meglio tutte le altre caratteristiche. Il primo sorso dovrebbe essere piccolo, giusto una preparazione della lingua e del palato. Quindi si può procedere a un sorso più corposo, il vero e proprio assaggio. L’abbinamento per eccellenza rimane quello con il cacao, in tutte le sue declinazioni. Non so se si può dire, ma anche il sigaro è un compagno perfetto del rum. Quanto al ghiaccio, non sono così radicale da bocciarlo in toto, ma per me rimane di gran lunga preferibile gustarlo liscio". 

Un vero corso di degustazione, grazie! Siamo in chiusura, vorrei tornare ancora una volta al fondatore della dinastia Cermelli, Don Esteban, al quale, ormai si sarà capito, è dedicato il rum, in ogni suo aspetto: nome, etichetta, immagine… tutto parla di lui. Mi pare quasi che lei abbia voluto racchiudere il suo spirito in una bottiglia, come il genio nella lampada. Che cos’ha significato “Don” Stefano per lei e per la sua famiglia?
"Senza dubbio, la possibilità di vivere una vita fuori del comune, a cavallo di due continenti, trovando una nuova patria in un paese che ci ha accolto e ci ha dato uno sguardo diverso sul mondo. Quel rum è il mio modo di dirgli “grazie”, e continuare a farlo vivere". 

Grazie a lei per questa preziosa chiacchierata. Dove si può trovare il Don Esteban 1881?
"Sto organizzando una mia distribuzione. Sul sito dell’azienda ci sono tutti i riferimenti, per il momento la cosa migliore è contattarmi. Sono un piccolo produttore, mi piace interfacciarmi il più possibile direttamente con l’appassionato e con il cliente finale". 

Ed ora, finalmente, degustiamo il Don Esteban 1881, il “rum dei due oceani”. Il colore è ambrato, con riflessi dorati e sfumature che tendono all’ocra. Al naso, dopo una prima, rapida unghiata di alcol, emerge un bouquet variegato di sensazioni vegetali secche, tipo foglia di pannocchia, segale, erba in fieno. Poi arrivano in successione il caramello e la crema pasticcera. È un naso asciutto, netto, tagliente. Sullo sfondo, note di tostatura e spezie, vaniglia e cacao in particolare. La traccia “ventosa”, di cui abbiamo parlato, è un refolo salino e minerale che pervade l’intero sentiero olfattivo, conferendogli eleganza, tipicità e leggiadria: è come se il rum spiccasse il volo, sospinto dai venti di Panama. La bocca è un mix di sensazioni solo apparentemente contrastanti: è dolce, ma anche secca – un secco caldo e avvolgente – morbida e rotonda, ma al contempo potente e strutturata. Il finale è lungo, persistente, armonico e asciugante. Una perla dei Caraibi, della stessa lucentezza del mare di cui è figlia.

 

 

Tiziano Gaiadi Tiziano Gaia   
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