Dentro la cucina di Cracco: "Vi svelo l'unica cosa sacra del cibo. E l'ingrediente più 'figo' del momento"
Lo chef stellato, molto famoso anche in tv ha aperto il suo cooking show al pubblico del Festival della Bottarga. Dove lo abbiamo osservato, e intervistato
"Il sacro in cucina non esiste. La cucina è pagana perché abbiamo un unico dio: l’ingrediente". Lo chef stellato Carlo Cracco sorride dopo questa sentenza. Per l’intervista si accomoda all’esterno dell’ittiturismo di Peschiera Pontis, una storica zone produttiva nelle aree umide di Cabras, sulla costa sarda dell’Oristanese, dove è stato appena inaugurato il nuovo museo della pesca. La celebre icona della cucina italiana, che fu allievo di Gualtiero Marchesi, Alain Ducasse e Lucas Carton, è l’ospite di punta dell’edizione 2024 del Festival della Bottarga. Da tempo la realtà produttiva dei pescatori desta un grande interesse, tanto che quest’anno è stato richiesto il riconoscimento del sistema di pesca della laguna come Presidio Slow Food.
L’ex giudice di Masterchef Italia e protagonista della serie Dinner Club, davanti a una piazza gremita e curiosa, ha sorpreso tutti nel suo cooking show. Ha preparato un antipasto di bottarga e due frutti un tempo esotici ma ormai coltivati anche in Italia. Ha infatti unito la cremosità dell’avocado e l’acidità del kiwi a un misto di erbe fresche, lime, gelatina di coriandolo e petali di bottarga. Chi ha avuto la fortuna di assaggiarlo lo ha giudicato piacevolissimo per la fusione imprevista eppure goduriosa. Nell’incontro con Tiscali FoodCulture leva subito i dubbi sul fine dining, espressione che non ama. «Preferisco parlare di qualità in cucina, che mi indica valore assoluto, poi di cuochi che cucinano prodotti del territorio esaltati alla massima potenza e di una vetrina dove metterli in mostra», afferma.
Ha sempre colto la sfida di trovare la potenzialità dell’ingrediente. Nel caso della bottarga di muggine, sapida e aromatica, come si può esprimerne l’opulenza?
"Conoscere meglio la bottarga fa capire che tutto quello che abbiamo visto prima può essere migliorato. Non dobbiamo associarla solo alla pasta, che è buonissima e che anche io adoro. Ma ogni tanto viene spontaneo pensare a qualcosa di diverso: posso usare solo là tutto questo ben di Dio? La bottarga deve essere quindi capita per il suo potenziale. Chi fa la bottarga deve replicare perché deve mantenersi custode di quella lavorazione, di quel metodo e di quel territorio. Noi in cucina dobbiamo cercare di alzare sempre il valore di quel prodotto - che è già altissimo e se dici bottarga qui si mettono tutti sull’attenti - per cercare di tramutare questo valore in cose nuove".
La bottarga di Cabras è un’eccellenza grazie all’ecosistema lagunare in cui ha origine, che conferisce precise caratteristiche organolettiche con due punte di amaro e una di dolce, quindi un diverso equilibrio. Un valore che forse gli chef non conoscono abbastanza?
"Il valore da condividere innanzi tutto è il territorio. È il territorio a fare la differenza. Il fatto di vedere un po’ oltre e immaginarsi la bottarga tra dieci anni vuol dire recupero del territorio, pulizia, massima valorizzazione. Infatti la bottarga vive se c’è un territorio, altrimenti fa fatica e quindi noi dobbiamo essere bravi a salvaguardarlo in modo da presentarlo sempre rinnovato".
Lei è un grande viaggiatore sempre in cerca di nuove materie. Quando incontra un territorio qual è il primo contatto?
"Nel mio caso è qualcosa da mangiare. Cercare di conoscere il territorio vuol dire entrare, chiedere, capire cosa si fa, qual è la tradizione e conoscerla prima di trattarla in mille altri modi".
Nel suo caso quanto una materia è conoscenza da studio e quanto è istinto?
"L’istinto serve per capire se una cosa è buona e poi viene tutto il resto, anche sbagliare che è doveroso. Nessuno di noi nasce fatto e finito: esiste sbagliare, capire l’errore e poi migliorarsi. Questo è quotidiano in cucina".
Il tema dell’ambiente le è sempre caro e collabora con Ifad (il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo dell'Onu) nello sviluppo di progetti sul cambiamento climatico per accrescere la sicurezza alimentare.
"Sì e il progetto più bello è sempre quello di testimoniare e dire 'Credici, quel prodotto lì e quel posto lì valgono tantissimo'. Ricordo, per esempio, che nel deserto del Marocco, al confine con l’Algeria, c’era questo agnello fantastico che mi ha fatto impazzire. È frutto di una tradizione ma poi abbiamo trovato anche dei tartufi, cioè delle patate del deserto che sono un po’ dei tartufi estivi. Quando ho chiesto al proposito mi hanno risposto che loro le usano sempre con l’agnello".
Se si pensa a un suo piatto iconico probabilmente tutti o quasi direbbero l’uovo. Quale sarà il piatto di domani?
"L’approccio è sempre molto laico. Le uova rappresentano un territorio che adoro e considero mio. Però anche per nuovi prodotti, sapori, tecniche. E gli abbinamenti perché credo nell’unire tanti abbinamenti persino diversi ma che poi sembrano naturali. Il piatto del domani è una sintesi di quello che succede oggi, l’integrazione e l’apertura. In cucina questa è una lezione che va avanti da qualche migliaia di anni. Perché la cucina è l’evoluzione della nostra civiltà e la cucina evolve da sola".
Nel 2012 ha pubblicato per Rizzoli Se vuoi fare il figo usa lo scalogno. Nel 2024 cosa si dovrebbe usare?(Ride) "Si potrebbe usare la bottarga buona, anche perché è molto più semplice, a volte, per mancanza di tempo".
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