Corrado Assenza, o l'arte della dolcezza sostenibile: "Dentro ogni cibo c'è prima di tutto l'umanità"
Il maestro pasticciere siciliano ha sostituito la parola "tradizione" con "cultura" e i suoi capolavori dolci sono la migliore spiegazione del perché. Intervista
Corrado Assenza non ha mai una risposta scontata o accondiscendente. Allievo ai tempi universitari di Giorgio Celli (entomologo e tanto altro ancora sotto ogni profilo culturale), è uomo di scienza e di cultura, prima che pasticcere e, volente o no, piacevole narratore gastronomico.
Il suo Caffè Sicilia, nelle vie barocche di Noto, è meta di pellegrinaggio di italiani e stranieri con un menù ricchissimo dove non mancano i cannoli siciliani veri, cassate deliziose e saporiti biancomangiare. Il suo laboratorio produce e vende online creme di mandorla che danno dipendenza per quanto sono buone. Se la fama si è amplificata per la celebre puntata di Chef’s Table nel suo locale, l’azienda familiare aveva già 135 anni di storia. Gli ultimi quaranta sotto la sua guida da innovatore, come per esempio si scopre per l’uso delle erbe aromatiche territoriali nei deliziosi biscotti di mandorla Romana.
Quando le radici diventano un pericoloso comfort
Icona della pasticceria contemporanea siciliana, nel suo dizionario ha sostituito la parola tradizione con cultura per evitare fraintendimenti o fregature. Ha sposato da subito un approccio alla sostenibilità quotidiano e sincero, che quindi inizia dalla terra e prosegue con la persona. “Abbiamo paura dell’innovazione. La tradizione ci dà la zona comfort in cui ci rifugiamo e scarichiamo tutte le responsabilità su chi ha fatto prima di noi magari per tantissimo tempo”, aveva raccontato in occasione degli Stati generali della Sostenibilità Digitale 2024, al presidente della Fondazione omonima Stefano Epifani. La settimana dopo il Gambero Rosso lo conferma ai vertici della pasticceria italiana con le prestigiose Tre torte nella guida “Pasticceri & Pasticcerie”, e inoltre riceve il premio Sostenibilità 2025.
Il digitale può liberare tempo e consegnare un tesoretto. “Lo spenderei nella cura di noi stessi”, spiega a Tiscali FoodCulture soffermandosi sul contemporaneo immerso nella tecnologia che non deve perdere di vista il tessuto imprenditoriale del Belpaese. “La vita, soprattutto in Italia, è fatta di micro aziende molto spesso a identità familiare. E il pensiero della pasticceria dal 2024 in avanti deve considerarlo – spiega – senza perdere i contatti con la nostra storia, che non è tradizione ma è cultura, quella cosa che si alimenta della contemporaneità dove vive”. Quando gli si chiede scusa per la brutale semplificazione della sua filosofia dell’alimento che parte dell’elemento, risponde: “Non è brutale, è necessaria. Ma bisogna capire qual è l’elemento: il primo che il cibo contiene è l’umanità”.
Proviamo a fissare quattro punti cardinali su cui si muove Corrado Assenza?
“Resilienza, sostenibilità, umanità e possibilità concreta di scelta. Scegliere significa anche rinunciare, preferire una cosa a un’altra, spesso la più scomoda e non la più facile. Ma questa è la salita più ripida che ti dà risultati nel tempo in termini sociali e non personali”.
Ha una predilezione per alcune materie prime, come la mandorla o il miele. Quest’ultimo è un ingrediente sottovalutato in cucina?
“È sconosciuto. Mi capitò una cosa buffa con un carissimo amico, che è mancato e che manca tanto, Andrea Paternoster dei mieli Thun, con cui ci trovavamo in sintonia sull’impossibilità di parlare di miele al singolare. Mi chiamò per intervenire al congresso degli Ambasciatori del miele. Presentai i miei lavori, quindi il miele come zucchero in pasticceria, come estrattore d’acqua per la frutta ma anche per legare pesci o altri ingredienti e gli usi diversi secondo l’aroma. Vidi lo stupore in sala: avevo mostrato il beneficio di avere tanti e diversi mieli ma per loro era una grande pecca. Quindi devi incominciare a lavorare proprio dagli attori del miele e far capire che in realtà hanno un vantaggio. Figurarsi con la pasticceria, dove il miele è usato se previsto dal dolce della tradizione o perché si segue il quantitativo di una ricetta, senza domandarsi se si può metterne di più al posto dello zucchero e a cosa si va incontro se lo si fa.
Quale bisogno umano più profondo può essere soddisfatto dalla pasticceria?
“Avere una dolcezza idonea in ogni momento della giornata perché c’è necessita di coccole, di energizzanti naturali liberi dallo zucchero ma ricchi di dolcezza. Quest’epoca fa lo sbaglio enorme di confinare il pasticcere ai dolci e, se va bene, al pane. Così si priva la cucina dell’apporto delle conoscenze del pasticcere per pervadere in dolcezza tutte le portate. Invece è una carta da giocare in più per una ristorazione intelligente, contemporanea e dinamica”.
Il laboratorio implica ricerca e pure errori, che non sempre conducono a una Tarte tatin. Qual è stato il migliore errore concluso con un esito felice?
(Ride) “Un episodio mi è rimasto impresso come lezione: quando ho avuto la presunzione di fare un risotto arancia e miele. Mi sono accorto di una cosa stupenda: il riso è diventato croccante. Infatti l’osmosi ha ricompattato gli amidi e il riso è così diventato il decoro croccante per i dolci. L’acqua estratta dal riso si portava dietro anche l’amido e quindi era diventata una gelatina dolce ma acida perché c’era il succo dell’arancia fresca”.
Qual è il dolce più rappresentativo di un paese come l’Italia che è un crogiolo di cucine italiane più che di una sola cucina?
“Il mondo ti ruba ogni cosa che riesci a elaborare e a rendere nazionale e popolare. Pensiamo a Venezia con le sue vetrine di cannoli siciliani industriali riempiti e comprati giorni dopo dal turista ignaro dei nostri. Abbiamo fatto diventare popolare un dolce che è un patrimonio dove nasce ma una schifezza altrove. L’industria se ne è appropriata come il tiramisù o il panettone. L’artigiano si riprende il dolce e, quando l’industria esagera, lo fa rinascere. Oggi il panettone è rinato a casa del lievitista che ha maggiore conoscenza delle performance del lievito madre, elemento fondamentale”.
Le piace mangiare bene e cucinare. Si può pensare bene se si mangia male?
“No, basta guarda la cultura americana del fast food. Devo fare altri esempi?”.
Il consumatore italiano e l’effetto wow. Vent’anni fa si faceva sorprendere dall’azoto liquido, ora?
“L’occhio ha sostituito il palato e il naso. Mi fa adirare che la buona cucina del barbecue è quasi diventata pornografia grazie a Instagram: si raccolgono like, il consumatore è pilotato senza avere il gusto ma nessuno guarda alla provenienza dell’animale. Sono però orgoglioso del pubblico che arriva in Sicilia: ci sono ragazzi con telefono e Instagram ma vedo che questi giovani mantengono allenato palato e naso”.
Caffè Sicilia è un laboratorio di fama mondiale. Per lei è anche un punto di osservazione privilegiato?
“Siamo riusciti a farlo comprendere come qualcosa che non si occupa solo di tazze di caffè da servire ma di ospitare chi varca quella porta. Uno dei mantra che ripeto ai ragazzi del servizio è di essere consapevoli che il prodotto è il sorriso, è l’accoglienza. Ci sono dei giorni nel primo autunno o nella tarda primavera in cui esco dal laboratorio e guardo il bar e la sala: ho la percezione di essere alla Grand Central, mi sento al centro del mondo. L’idea di fondo non è che dobbiamo essere il villaggio globale ma stare nella rete dei villaggi che vivono la globalità per essere neurone di quella rete. L’Italia intera ha bisogno di reti, comprese quelle informatiche per permettere alle intelligenze che vivono nelle piccole realtà di apprezzare la distanza anziché di sentire una costrizione”.
La tecnologia è entrata con prepotenza nelle nostre vite. Cosa cambierà per il cibo?
“Purtroppo prevedo tante piccole disattenzioni al fatto che siamo ciò che mangiamo. Me ne accorgo quando vengo a contatto con produzioni di grandi numeri: le filiere alimentari sono sempre più lunghe anziché più corte, come auspicavamo qualche decennio. Ma l’Italia è fatta di tante zone interne e tanti piccoli centri abitati. Avremo un’altra possibilità se riuscissimo a ridare attenzione alla qualità della vita che si svolge dei piccoli centri. Se il PNRR fosse messo a disposizione del riassetto idrogeologico ma anche di reti ferroviarie, energetiche e informatiche e queste reti fossero reti vere, ci sarebbe una chiave per ritornare a produrre cibo nelle piccole realtà. Ci vuole un progetto di ampio respiro, di una società per la società”.
Suo figlio Francesco fa parte della squadra da quindici anni. Com’è questa quinta generazione?
“È il giovane di oggi, veloce e senza fronzoli, diretto ed efficace. Sa che esiste Instagram, ci vive, sa quanto importa e cosa importa. Nei suoi progetti c’è anche tutto questo. Al locale abbiamo continuato a sviluppare insieme l’idea della merenda con il pane e l’olio e preparare qualcosa anche per l’aperitivo, per il pranzo e per la cena. Francesco e la sua ragazza Sara, che lavora con noi, hanno utilizzano alla loro maniera la cipolla di Giarratana. Se io cercavo la freschezza dell’insalata, loro sono passati all’evoluzione con la cipolla grigliata, quindi con note più intense”.
Qual è il prossimo obiettivo di Corrado Assenza?
“L’azienda agricola nel terreno di famiglia per chiudere il cerchio. Non per chiudersi con gli altri contadini ma per fare quello che non fanno loro, coinvolgendo chi ha più esperienza diretta di terra e acqua. Un altro progetto riguarda la narrazione, visto che da quattro anni siamo sponsor di Documentaria, festival del cinema documentario. Per la decima edizione sono riuscita a convincere i fondatori a creare due premi. Uno dedicato alla memoria di Giuseppe Leoni, il fotografo ragusano mancato lo scorso aprile che ha documentato mezzo secolo della società siciliana, per vedere chi sono i suoi eredi. L’altro per la documentaristica sul cibo, per chi ha voglia di raccontarlo. Narrare non la cucina, ma il cibo e l’umanità che lo prepara”.