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Pietro Catzola, il cuoco portato da Cossiga al Quirinale. "Ho cucinato per presidenti e re": i piatti e le storie

Cinquant'anni di servizio nelle cucine del Colle, di fronte alle sue ricette e seduti a quella tavola sono passati personaggi storici. Rievocati in un libro

Manuela Vaccadi Manuela Vacca   
Francesco Cossiga ed Elisabetta II d'Inghilterra, alla tavola di Catzola (al centro, montaggio con foto Ansa)
Francesco Cossiga ed Elisabetta II d'Inghilterra, alla tavola di Catzola (al centro, montaggio con foto Ansa)

"Non sapevo di essere bravo in cucina ma frequentando il corso per cuochi mi resi conto che mi piaceva tanto. L’anno prossimo festeggio i 50 anni effettivi di servizio: lavoro dall’8 settembre 1975". Pietro Catzola sul suo grembiule da cuoco porta con orgoglio lo stemma della Repubblica italiana e lascia che emerga - sottile e posata - una nota malinconica: "Tra un anno e mezzo raggiungo i limiti di età, direi che è ora di andare via". Sardo ogliastrino, 65 anni, ricorda vividamente ogni data e ogni episodio di un vissuto che lo ha portato da giovanissimo a prendere servizio al Quirinale, voluto dal presidente Cossiga, che lo aveva notato sull’Amerigo Vespucci.

I più grandi alla tavola con le sue creazioni

Si è trovato quasi subito a cucinare anche per ospiti internazionali. Tra loro Michail Gorbačëv, la regina Elisabetta II e suo figlio Carlo d’Inghilterra, Bill Clinton. Ha stretto la mano di Barack Obama e di tanti altri. Tutte queste memorie le ha riversate in un libro edito da Solferino e intitolato Il cuoco dei presidenti: vita e ricette di un marinaio al Quirinale. Sta presentando la sua opera, vincitrice del Premio Bancarella della Cucina 2023, in un tour nella sua Sardegna, in occasione di Elmas in festa (a pochi chilometri da Cagliari) e dell’edizione 2024 del Festival della bottarga (a Cabras, in provincia di Oristano).

Racconta svariati aneddoti ed è grato alla moglie e ai familiari che gli hanno dato modo di rincorrere le sue “medaglie”, come le chiama lui. "La mia famiglia ha giocato un ruolo importantissimo: mi ha supportato e sopportato perché mi seguiva tra La Spezia, Taranto, Livorno, Roma e Senigallia".

Una passione per la cucina trasmessa dalla famiglia della mamma Amalia Monni e dai nonni Eugenio e Maria. Com’è andata?
"Sono partito a 16 anni, dopo due anni di studio come idraulico all’Istituto professionale di Dorgali. Ho seguito il consiglio di fare domanda alla Marina militare come cuoco dato da uno zio che aveva capito la passione dei discendenti dei Monni, tutti bravi a cucinare. Anche mio cugino Fabrizio ha fatto il cuoco e a Seattle ha creato il ristorante Paradiso e un’altra realtà dove porta prodotti ogliastrini, Blucrocierecrociere Sardinia. Mio nipote Federico sin da piccolo scriveva lettere in cui diceva che avrebbe preso il mio posto al Quirinale. Non lo ha fatto ma è cresciuto al Four Seasons di Milano con un altro grande chef sardo, Sergio Mei, e ora è a Londra dove è stato promosso come junior sous chef al bistellato La Dame de Pic. Mio zio aveva quindi ragione. Mi accorsi che mi piaceva davvero cucinare e tuttora mi diverto molto. Poi vengo da un piccolo paese, Triei: cucinare per i presidenti va moltiplicato per un milione".

Cosa si cucinava in casa?
"I miei nonni avevano una fattoria a Triei e producevano tutto per il sostentamento. Il loro animale preferito era il coniglio, così nel mio libro dedico una ricetta proprio al coniglio dei cugini Monni. Mia madre ha continuato a cucinare anche quando era anziana. Quando andavo a trovarla le dicevo che avrei preparato io ma lei rispondeva di no. Cucinavo magro, magari un brodo filtrato, e lei mi diceva di lasciare stare perché le piaceva con tre dita di grasso sopra. Mi è successo anche con il presidente Napolitano e la signora Clio quando preparai il bollito a bassa temperatura, a 65 gradi per 12 ore, con brodo filtrato e trasparente come una camomilla. Tagliai lingua, petto di gallina e le altre parti in forma geometrica e le presentai in una zuppiera trasparente. Mi fecero chiamare in sala e mi chiesero, da allora in poi, di fare il bollito come erano abituati, cioè con due dita di grasso sopra".

Il suo primo compito quando si arruolò in Marina fu addetto ai viveri e al vestiario. Come si fa la spesa per la cucina di un presidente della Repubblica?
"Cambiano le quantità rispetto alla Marina, dove erano enormi, e per i presidenti è più semplice: prima di arrivare al Quirinale pensavo che mangiassero caviale e champagne e invece mangiano semplicemente, come noi a casa. Naturalmente quando offriamo pranzi di Stato dobbiamo presentare il made in Italy".

Si è attenti alla sostenibilità e al food cost?
"Assolutamente sì, facendo la spesa giusta e recuperando tutto. Non buttiamo il cibo perché è un peccato mortale: mangiamo noi quanto avanza o, nei pranzi di Stato, lo diamo alle associazioni per chi ne ha bisogno. Quando arrivò la signorina Scalfaro come prima cosa voleva conoscere la spesa per il loro mangiare. Fu lei a catapultare le cucine del Quirinale dall’800 al futuro perché, sino al 1992, c’erano cucine al carbone, tavoli di quercia a Castelporziano e setacci intrecciati con i crini di cavallo. Inoltre cambiò la mentalità dei vecchi cuochi che non condividevano le ricette mentre oggi sono appese alla lavagna".

Gli altri cuochi le facevano i dispetti?
"Arrivavo da un ambiente militare e all’inizio sembravo uno infilato là. Ogni tanto i cuochi anziani mi sabotavano le preparazioni. Piano piano è andata sempre meglio e infatti sono ancora là a lavorare. Oggi vengono molti ragazzi in cucina perché ospitiamo scuole alberghiere di tutta Italia e per me è bellissimo interagire con i giovani".

Ha cucinato per il sardo Francesco Cossiga, il piemontese Oscar Luigi Scalfaro, il toscano Carlo Azeglio Ciampi, il campano Giorgio Napolitano e il siciliano Sergio Mattarella. Come si conciliano i vostri piatti con regionalità e gusti presidenziali?
"A ogni presidente che si insedia proponiamo i nostri piatti per due o tre mesi e ognuno di loro ci fa richieste e via via ci informa sui gusti. Quindi andiamo per correzioni e proponiamo ciò che piace maggiormente. Per esempio la signorina Scalfaro mi disse che voleva mangiare come diceva lei. Gradiva pomodori da tagliare al momento o gelatine di aceto di mele per incominciare. Mi adeguai completamente e dopo un anno lei mi lasciò fare. Le piaceva far mangiare bene gli ospiti ma teneva a dieta il padre, tanto che quando la figlia non c’era il Presidente chiedeva lo spaghetto".

Qualcosa lo ha imparato anche lei da chi ha incontrato, per esempio le tagliatelle dalla signora Ciampi?
"Lei era emiliana e mi insegnò a fare le tagliatelle. Io le feci vedere come preparare una pasta sarda, “sa fregula”. Le piaceva in bianco nel brodo di arselle con pistilli di zafferano. Era molto brava a cucinare e le piaceva il quinto quarto, il fegato e la trippa. Mi disse di non farle mai il pesce, al limite un pesce che non sapesse di pesce. Iniziai a friggere moscardini, seppie, triglie e gradì molto. Allora le raccontai un aneddoto divertente".

Quale?
"A bordo della Amerigo Vespucci, ogni mattina per nove mesi, passava un ragazzo davanti alle cucine per sapere se ci fosse la cotoletta alla milanese perché sua la madre gliela faceva a casa. Ogni giorno. Una volta presi un cartone da imballaggio, ne tagliai un pezzo a forma di cotoletta, lo misi in ammollo, lo panai con pane grattugiato e lo misi a friggere. Iniziò a mangiare e mi fece i complimenti dicendo che era tenero come il filetto della mamma... La signora Ciampi rise da matti. Poi, siccome adorava la pasta alla chitarra magari con un ragù di cinghiale mi feci fare l’attrezzo da mio fratello e glielo regalai. Anni dopo mi chiamò per restituirmi questa chitarra di modo che potessi continuare a usarla io. Oggi ha 104 anni e ogni tanto la sento: è sempre lucida e prodiga di consigli".

Non si cucina solo per i presidenti ma anche per altri nei pranzi di Stato. Come trasmette la cultura gastronomica del Belpaese facendo attenzione a tutto, dai protocolli alle cucine halal e kasher?
"C’è l’interloquire con le ambasciate su gusti, allergie e religioni degli invitati facendo anche attenzione ai menù serviti precedentemente per non ripetersi. Molte volte ci comunicano un’allergia o la richiesta di un piatto vegetariano o vegano solo una volta seduti a tavola per cui teniamo una linea di prodotti per soddisfare qualsiasi richiesta. Abbiamo infatti solo 45 minuti per servire tutto sino al caffè".

La sua è una cucina che tiene ai sapori come ai colori e alle geometrie. Questa filosofia viene colta dagli ospiti illustri?
"Devo dire di sì. La presentazione del piatto è importantissima e l’ho imparata ai tempi dell’Amerigo Vespucci, quando salì a bordo la famiglia Missoni. Arrivarono con i loro cuochi e presentarono un raviolo chiamato “Geometrie Missoni”. Era un piatto con un sugo leggero in cui si notavano geometrie e colori. Da loro ho imparato moltissimo: presentazione, colori e sapori. Essendo poi un sardo che viene spesso in Sardegna per ricaricarsi, a tutti i presidenti ho sempre dedicato un piatto nostro. Abbiamo decine di tipologie di paste geometricamente diverse: lorighittas, andarinos, maccarones de busa, culurgiones. Devo dire che è bello farlo per loro, come a bordo del Vespucci c’era sempre un angolo dedicato alla mia isola nei miei buffet. Quando venne il presidente Cossiga c’erano dei cesti di pani sardi e lui li notò e mi fece chiamare per farmi una proposta: sostituire il cuoco che andava via. Dissi di no ma un mese dopo sono stato richiamato e questa volta accettai anche perché, per le assenze dovute alle crociere, stavo diventando estraneo per mia figlia. La mia famiglia mi seguì a Roma".

È a casa, qualcun altro può preparare per lei. Cosa chiede?
"A forza di cucinare mangio in modo semplice: mi basta una fettina e patatine o una frittura di pesce con patatine e un’insalata".

C’è un piatto di altre cucine che mangia volentieri?
"Non sono per le cucine etniche ma ci sono profumi che mi piacciono tanto come il curry. Quando, il 4 luglio 1986, eravamo ancorati con al Vespucci di fronte alla Statua della libertà e venne a bordo anche Oriana Fallaci, preparai le pennette con scampi e pomodoro e le contraddistinsi al profumo di curry indiano. Lei mi domandò come mai e le dissi che era dedicata a lei che era inviata di guerra in Medio Oriente. Rimase colpita e mi regalò il suo libro “Lettera a un bambino mai nato”. Fu il mio primo pranzo istituzionale".

Ha cinquant’anni di servizio e una indiscutibile passione per il suo lavoro. Ma tornando indietro cosa cambierebbe?
"Penso niente, ho fatto con entusiasmo quello che il cuore mi ha detto di fare. A 16 anni piangevo, sapevo di non poter tornare indietro ma alla Marina devo tantissimo perché mi ha trasmesso regole di vita quali rispetto, passione, spirito di sacrificio. Un grosso rammarico è che non esiste più il servizio di leva: sarebbe stato importantissimo per i giovani per dar loro un indirizzo iniziale. Dal 6 novembre 1989, quando lasciai la Marina militare per il Quirinale, mi accompagna una nostalgia perché resto marinaio nel cuore e nella testa. E oggi, 65 anni e nonno, sono ancora là a divertirmi e avere l’onore di servire i presidenti della Repubblica".

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