[Ritratti DiVini] Rovellotti: "Il nostro vino, i 50 anni di storia familiare e il Nebbiolo che piace all'estero"
L'azienda del Novarese è prima di tutto una storia di famiglia e di territorio, e poi una vetrina di eccellenza vinicola anche sul mercato estero. L'intervista
Storie di entusiasmo. Sono quelle che riguardano i protagonisti della filiera del vino in Italia. Entusiasmo significa iniziare, resistere, scommettere sulla propria passione e sulla cura del territorio mentre lo si usa con attenzione nella produzione. Rappresentare con la propria azienda e il vino un pezzo d'Italia che poi porta quei profumi, quel gusto e quella storia al resto del mondo. Con Ritratti DiVini cominciam a raccontare queste storie e partiamo dall'azienda piemontese Rovellotti. Parliamo con Paolo Rovellotti che oggi tiene il timone dell'impresa di famiglia: "Abbiamo cominciato nel 1972 seguendo le intuizioni di nostro padre" spiega.
Oltre 50 anni di storia. Come si è evoluta Rovellotti da allora?
"Si è sviluppata da tutti i punti di vista. Nel '72 cominciamo io, mio fratello Antonello e mio padre a coltivare una piccola vigna di millecinquecentro metri nel Novarese, oggi ne coltiviamo 25 ettari tutti di nostra proprietà. L'anno scorso abbiamo compiuto la nostra cinquantesima vendemmia e ci stiamo espandendo mentre viviamo il subentro generazionale, lavorano con noi i nostri figli e nipoti Rachele e Luigi. Abbiamo sei dipendenti. Metà della produzione viene esportata e il resto lo si vende nel raggio di 100 chilometri attorno a Novara".
Quali sono i principali mercati esteri per i vostri vini?
"Gli Usa ci importano circa 12mila bottiglie, poi esportiamo in Svezia, Belgio, Giappone, Svizzera e Francia. Il giro complessivo è di 55mila bottiglie".
Che uve trattate?
"La nostra uva è il Nebbiolo locale che un tempo si chiamava spanna, abbiamo anche le varietà classiche delle Langhe. Coltiviamo anche la Vespolina, che è uno speziato naturale, e l'Erbaluce il cui nome è blindato per legge e quindi chiamiamo Innominabile. arrivò nel Sud Italia con i Romani e produce un vino mediterraneo e aromatico di pregio".
Fare vino e coltivare la vite significa muoversi nel territorio e difenderlo. Quali sono le pratiche che adottate su questo fronte?
"E' proprio così, significa proteggere il territorio. Noi facciamo diverse cose, fra cui impianti di drenaggio delle acque piovane così che non si sia impoverimento della terra. Tutte le regole di cura ambientale emanate dall'Unione europea le rispettiamo, da sempre".
Due o tre vini fra i vostri di cui siete particolarmente soddisfatti?
"C'è il Passito Valdenrico che è una specialità locale, fatto del vitigno Innominabile di cui vi parlavo prima, fatte appassire per cinque mesi e poi pigiate. Importantissimo il Ghemme, nostro vino principe che rappresenta il territorio ed è uno dei cinque tipi di Nebbiolo più apprezzati e premiati, insieme a Barolo, Barbaresco, Gattinara e Roero. Infine citerei la Vespolina, vitigno semi aromatico che sa di pepe, colorato, storico di questo territorio".
Per concludere, i due anni pandemici hanno ridotto e danneggiato il mercato o no?
"Negli anni di fermo pandemico noi abbiamo lavorato benissimo con l'estero, mentre qui abbiamo patito le chiusure della ristorazione e ricapitalizzare l'azienda, però alla riapertura già dall'anno scorso abbiamo avuto segni di ripresa che quest'anno vanno oltre la tendenza già buona del 2019".