Tumori e diabete con l'olio di palma, è così? I dati e il confronto con i rivali: girasole e colza
Negli ultimi anni è diventato una specie di "Satana" dell'alimentazione, e via con le alternative. Che non risolvono il problema. E peggiorano quello ambientale

Che fine ha fatto il Signor Veleno, il Diavolo nei nostri piatti e il nemico di ogni benessere contro cui per qualche anno si è tenuta una crociata mondiale? L'olio di palma non è certo sparito, altrettanto certamente il suo uso per la produzione si è ridotto. A favore dei supereroi buoni dell'alimentazione: l'olio di girasole e quello di colza. E' stato detto e scritto di tutto sul diabolico olio di palma, così come è stato detto e scritto di tutto sull'interazione sui residui di alluminio nel caffé che provocherebbero malattie e sulla superiore bontà a priori del grano italiano usato per la pasta. Per mesi molti dei principali marchi si sono affannati a dichiarare "non contiene olio di palma" scritto con caratteri grandi delle confezioni dei loro prodotti. Via alle alternative. Perché l'olio di palma fa venire il cancro, favorisce il diabete, distrugge il fegato e soprattutto devasta la biodiversità. Con l'aumentare dell'allarme, sono però aumentati anche gli studi specifici su questa materia prima. Con dati interessanti.

La (parziale) redenzione del Satana alimentare
E' qui consultabile lo studio compiuto in collaborazione dalle Università Statale di Milano e de L'Aquila, in cui si evidenzia il ruolo del delta‐tocotrienolo contenuto, fra gli altri, nell'olio di palma nel contrastare la formazione del melanoma, formazione cancerosa della pelle. Usando questa sostanza è possibile, secondo i ricercatori, non solo rallentare la crescita del tumore, ma anche indurne l'autodistruzione programmata. Senza effetti tossici collaterali. Gli studi in corso stanno approfondendo fin dove sarà possibile utilizzare il delta-tocotrienolo in sede farmaceutica e sanitaria per il trattamento di queste forme tumorali. Non tutto il male vien con l'olio di palma, dunque. Ma di certo la questione non si esaurisce qui.
Cancro, colesterolo, diabete se lo mangi: cosa dicono i dati
Restano in piedi le altre questioni preoccupanti, considerando che l'olio di palma è ancora ovunque: in biscotti, merendine, vari altri tipi di dolci, cibi pronti, nella Nutella (e Ferrero ha dichiarato che continuerà a usarlo, ma con un rigido controllo delle modalità di produzione in accordo con la qualità della materia prima e del rispetto del territorio) e nelle torte. Fa male alla salute? Finora nessuna correlazione è stata dimostrata fra il cancro e l'ingestione di olio di palma. Sul tema colesterolo e diabete: questo grasso saturo estratto dalle bacche di drupe, che hanno l'aspetto di una sorta di olive rosso-arancio, ha un potere calorico simile a quello del burro. Non è quindi nocivo di per sé, ma va consumato senza esagerare nella quantità, esattamente come il burro, e meno delle margarine (sulle quali l'Oms è stata molto severa). L'eccesso di grassi saturi è sempre correlato al rischio cardiovascolare. Sul colesterolo: l'olio di palma non ne contiene, ma ha al suo interno acidi grassi come quello palmitico che possono indurre un aumento del colesterolo ematico. Ma gli studi svolti finora non hanno rivelato impennate del valore più temuto, l'LDL. Ad oggi quindi, dati alla mano, sul fronte alimentare l'olio di palma non è quel veleno su cui si sono combattute battaglie di supremazia e di moda alimentare. Le stesse che hanno portato al punto di scrivere Bio sulle confezioni (comunque plastificate) di detersivo certo non realizzato con la cenere e il succo di limone usato dalle bisnonne. Ma il discorso è aperto a sviluppi e resta caldissimo il fronte del danno ambientale.

Ma anche gli oli rivali hanno problemi
Le campagne di protesta e sensibilizzazione contro l'uso dell'olio di palma puntano soprattutto sulla distruzione della biodiversità e l'aumento dell'inquinamento nelle zone in cui viene coltivato in modo intensivo, come in gran parte del Sudest Asiatico. Dove intere economie e i loro indotti (e centinaia di migliaia di posti di lavoro) sono garantiti dalla coltura delle bacche arancioni. E dove finora non è facile trovare alternative, poiché l'olio di palma ha una resa alta rispetto al fondo che ne ospita la coltura (fino a cinque volte più dei rivali, come quello ottenuto dal girasole e dalla colza, e perfino delle arachidi). Per dar spazio a colture simili e percepite come più salutari, bisognerebbe quindi disboscare di più, usare più acqua nelle irrigazioni e un maggiore quantitativo di pesticidi e insetticidi. Il tema della biodiversità violata è importantissimo, ma va esteso ad altre colture di cui si parla meno in termini di pericolosità: caffé, tabacco, cacao, barbabietola. Inoltre, l'impianto di coltivazione dell'olio di palma si fa in media una volta ogni 15 anni, quello del girasole e della colza da olio va rinnovato ogni anno. Sono anche diverse le zone di coltivazione: la palma da olio si coltiva in zone calde e tropicali, la colza in zone più fredde (come quella alpina) e il girasole in zone a clima medio, infatti punteggia ampie zone del nostro Paese. Come si vede trovare alternative non è facile. Gli studi su questi prodotti oleiferi proseguono, e includono anche la soia e il relativo olio di semi. La soia è di gran lunga il legume più coltivato del mondo a varie latitudini (vedi qui i dati) e quindi richiede uso di acqua, terra, fertilizzanti e presidi chimici molto superiori a colza, girasole e drupe da cui si ricava l'olio di palma. Eppure nella percezione comune non subisce demonizzazione. Perché? E chiudiamo con un'ultima domanda: se la maggioranza della popolazione decidesse di diventare vegetariana, siamo sicuri che la biodiversità sarebbe davvero rispettata? Su questo tema torneremo con un approfondimento a parte.
